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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2011 alle ore 08:12.

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di Davide Colombo e Marco Rogari
ROMA. Un aumento molto graduale dell'età pensionabile delle lavoratrici private a partire soltanto dal 2020 per arrivare a quota 65 anni nel 2030 o più probabilmente nel 2032. È un piano ultra-soft quello su cui ieri sarebbe stato raggiunto un compromesso nella maggioranza sulle pensioni rosa. Tra il «no» della Lega e l'opzione più «a presa rapida» proposta dal Tesoro (incremento di un anno ogni due già dal 2012), alla fine sembra essere prevalsa una soluzione più vicina a quella immaginata dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: innalzamento dell'asticella del requisito di vecchiaia di un mese l'anno dal 2015 per poi accelerare (sei mesi in più l'anno) dal 2020.

Un'ipotesi, quest'ultima, che non è stata ancora del tutto accantonata. Se il lavoro finale di riequilibrio della manovra per effetto delle limature che si stanno apportando in queste ultime ore dovesse rendere necessario un leggero anticipo delle pensioni rosa, si potrebbe partire dal 2015. In ogni caso nessuna chance per l'opzione del Tesoro, bocciata già martedì non solo dal Carroccio ma anche dai sindacati.

L'intervento ultra-soft prevederebbe un aumento della soglia di vecchiaia delle donne nel settore privato di un mese l'anno dal 2020 per poi salire a sei mesi l'anno dal 2025.

Quanto alle altre voci del pacchetto previdenziale, confermati l'anticipo al 2014 (dal 2015) delle meccanismo di aggancio del momento dell'effettivo pensionamento alla speranza di vita e lo stop alla rivalutazione automatica delle cosiddette "pensioni d'oro". Che dovrebbe essere totale per gli assegni superiori cinque volte il minimo Inps (circa 30.500 euro lordi annui) e parziale (45%) per quelli compresi tra tre (18.300 euro annui) e cinque volte il minimo. Una misura bollata come «attacco subdolo alle pensioni del ceto medio» da Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager. Praticamente certa è, poi, la misura pensionistica anti-badante, sponsorizzata dalla Lega e che introduce un taglio agli assegni di reversibilità.

Tra le altre novità previdenziali contenute nelle ultime versioni della bozza del testo che oggi verrà esaminato dal consiglio dei ministri arriva l'iscrizione obbligatoria alle casse pensionistiche privatizzate di tutti quei pensionati che percepiscono un reddito derivante da attività professionale. Questi pensionati-lavoratori saranno obbligati anche a versare contributi con un'aliquota minima non inferiore al 50% di quella ordinaria prevista dagli altri iscritti agli stessi enti.

Un'ulteriore misura riguarda poi i risparmi generati dall'aumento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche. Somme che dovevano confluire nel Fondo strategico per l'economia reale (il cosiddetto «fondo Letta», attivato alla presidenza del Consiglio) e che sarebbero servite anche per finanziare politiche attive per il sostegno dell'occupazione femminile come la conciliazione o il co-finanziamento degli asili nido. Ebbene dall'anno prossimo quel Fondo verrà de-finanziato per una quota di 252 milioni, per salire progressivamente fino a 592 milioni per l'anno 2015 e via a seguire fino al 2020 (con un taglio di 242 milioni).

Infine nel capitolo «riordino enti», all'articolo 16 della bozza si attribuiscono alla Covip nuovi poteri di controllo sugli investimenti finanziari delle casse previdenziali privatizzate. Sulla base delle ispezioni dell'autorità di vigilanza il ministero dell'Economia e quello del Lavoro detteranno poi disposizioni agli enti sia sugli investimenti da effettuare sia sui profili di conflitto di interesse da osservare. Infine viene soppresso il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Le attività di questo organismo nato con la riforma Dini e che, tra l'altro, comprendono l'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione utilizzati per la trasformazione del montante contributivo in pensioni, verranno garantite in concerto da strutture del ministero dell'Economia e del Lavoro, mentre le risorse già stanziate per il funzionamento del Nucleo verranno «girate» alla Covip.

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