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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2011 alle ore 07:38.
Al di là dei suoi contenuti o dei suoi dettagli esegetici, la norma sulla "mediazione fiscale" costituisce un nuovo passo verso la lenta acquisizione di consapevolezza della matrice amministrativistica della tassazione. È un'ulteriore presa di coscienza della sterilità della via processuale nella gestione dei rapporti tra contribuente e fisco, che non è un "antagonista privato", ma una istituzione pubblica, non condizionata da tornaconti individuali, bensì - casomai - dal malessere collettivo sulla tassazione attraverso le aziende. È però certo che gli uffici fiscali non sono un cliente che non vuol pagare o un coniuge separato che vuole ottenere il massimo assegno di divorzio. Gli uffici tributari sono l'istituzione pubblica di riferimento, che deve agire, deve dare torto o ragione, rispetto alla quale il giudice interviene in un secondo momento, quando il contribuente ritiene che essa abbia sbagliato. Ma se questa invocazione è troppo frequente, come da noi, vuol dire che ci sono profonde disfunzioni non nelle istituzioni amministrative, ma nella comprensione comune, istituzionale, del fenomeno tributario.
C'è bisogno di una grande deprocessualizzazione del diritto tributario, che non si presta ad avvenire solo a colpi di accertamento con adesione, che pure ha dato luogo a una esperienza ampiamente positiva, ma ancora insufficiente. Se è vero che il problema non è la lotta all'evasione, ma la richiesta delle imposte dove la tassazione attraverso le aziende, con la sua minuzia, non arriva. Qui il fisco ha un'idea molto vaga della possibile ricchezza, e anche i dati bancari, gli spesometri, e analoghe segnalazioni, fuori da un calcolo ragionieristico aziendale, sono solo indizi contabili per una stima. E una stima è sempre un ragionamento per ordine di grandezza, dove c'è il rischio di sbagliare e di discutere con il contribuente, soprattutto quando le stime da effettuare sono tante, visto il numero di autonomi e di microaziende che caratterizza il nostro paese. Le valutazioni hanno infatti sempre caratterizzato la storia della fiscalità, e la tassazione ragionieristico-contabile è un'eccezione, che non può essere costruita artificialmente quando le aziende mancano o dove sono inaffidabili, perché troppo piccole e quindi manipolabili dal titolare. La cultura del Cud, del calcolo che quadra al centesimo deve essere sostituita, in questi casi dalla cultura della valutazione. Dove il fisco avanza ipotesi per ordine di grandezza, molti contribuenti accettano, ma molti protesteranno e servirà una sede per gestire un contraddittorio. Che non può essere lo stesso organo che aveva effettuato la prima valutazione, ma un organo "di riesame", che deve "rivalutare" autonomamente la determinazione del primo, per il quale sarebbe imbarazzante essere sistematicamente chiamato a sindacare il proprio stesso lavoro. Per questo serve un organo in parte terzo, e una proposta di mediazione, con un sistema che in prospettiva dovrebbe essere esteso sempre più, anche oltre i 20mila euro. Perché la strada per riportare il buonsenso in materia fiscale è "processare meno", in modo da poter "processare meglio".
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