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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2011 alle ore 15:59.

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Una volta la regolamentazione bancaria, come i prestiti, era decentralizzata e fondata su valutazioni dal basso verso l’alto, concentrate sulla rischiosità del singole debitore. I regulator prendevano perlopiù in esame i singoli prestiti piuttosto che i rapporti capitale-asset. Un tipico esame condotto sulle banche includeva la valutazione di ogni singolo prestito commerciale e di un ampio numero di prestiti personali. L’adeguatezza patrimoniale era oggetto di giudizio: gli esaminatori calcolavano l’adeguato livello di buffer di una banca, tenendo conto dei suoi specifici rischi.

I regulator hanno poi preferito emanare editti che imponessero alle banche di mantenere uno specifico buffer, ossia un cuscinetto di emergenza in grado di assorbire le potenziali perdite. Tale vincolo presuppone che asset ed esposizioni bancarie possano essere calcolati accuratamente. In realtà, i bilanci delle megabanche sono pura fantasia o pia illusione.

Il problema va oltre l’intenzionale disorientamento. J.P. Morgan e Deutsche Bank hanno pagato ingenti somme di denaro per sistemare accuse che vanno dalla corruzione ed esecuzioni illegali al favoreggiamento in evasione fiscale. Escludere la connivenza degli alti dirigenti solleva una domanda allarmante: forse Jamie Dimon, stimato Ceo di J.P. Morgan, non conosce le esposizioni implicate nei derivati della sua banca pari a 80 miliardi di dollari, come Tony Hayward, sfortunato ex direttore generale di BP, non conosceva i pericoli legati all’infausta piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico?

L’ignoranza sui rischi effettivi rende surreali i dibattiti sulla giusta formula per i buffer di capitale. L’uso di regole meccaniche per determinare l’adeguatezza patrimoniale ha altresì inavvertitamente incoraggiato l’imprudenza sistemica.

I limiti sui livelli di indebitamento che rendono difficile guadagnare un’adeguata redditività sul capitale proprio incoraggiano le banche a farsi carico di prestiti più rischiosi ad elevato margine di profitto – e indurre le banche a detenere maggiore capitale per le categorie di asset presumibilmente più rischiose aggrava il problema. Secondo le regole della Commissione di Basilea, concordate a livello internazionale e attuate prima del crack del 2008, i requisiti patrimoniali per i prestiti commerciali erano, ad esempio, cinque volte superiori rispetto a quelli previsti per i titoli garantiti da mutui ipotecari (Mbs) che avevano rating AA o AAA.

Le banche hanno ovviamente evitato di concedere i tradizionali prestiti commerciali (che dovevano essere garantiti da maggiore capitale) e si sono fatte carico dei titoli garantiti da mutui ipotecari AA o AAA ad altissimo rendimento, e quindi i più rischiosi che potessero trovare. Il sistema bancario globale e l’economia erano pertanto vulnerabili agli errori delle tre principali agenzie di rating e ai loro difettosi modelli di rischio.

Incoraggiare le banche a convertire i prestiti contabilizzati in titoli ha altresì contribuito a ridurre il generale livello di cautela nell’estensione del credito. Le strategie per eludere le regole di Basilea hanno inoltre reso più complessa e difficile la gestione e la supervisione delle banche.

Migliori requisiti patrimoniali, e quindi migliori regole di Basilea, non sono la giusta risposta. La rigida uniformità top-down è essenziale per specificare pesi e misure ed emettere valute e monete. I prestiti e la regolamentazione bancaria, invece, devono conoscere le realtà locali, dal momento che in un’economia dinamica, non controllata rigidamente, ogni mutuatario, ogni prestito e ogni banca è diversa (sebbene alcune linee guida possano essere d’aiuto). L’approccio top-down apparentemente oggettivo ignora la natura idiosincratica del rischio e presume che un mutuo ipotecario sia uguale all’altro.

Non possiamo più permetterci di affidarci ad esami vecchio stile destinati a megabanche che si fanno carico di rischi standardizzati. E dal momento che azionisti o finanzieri d’assalto non possono imporre uno snellimento delle operazioni, i governi devono richiedere a tali banche di liberarsi delle attività che non si riescono a gestire o regolare e di valutare i prestiti caso per caso. Considerati i profitti e i bonus alle stelle, le megabanche non abbandoneranno facilmente i propri modelli di business; ma, a meno che ciò non avvenga, sarebbe una pura follia puntare solo su regole top-down.

Amar Bhidé è docente presso la Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University e autore di A Call for Judgment.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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