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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2011 alle ore 07:31.

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Prima il balletto del decreto che si dava per perfezionato e inviato al Quirinale già nel fine settimana, poi il susseguirsi di versioni come quella inviata in mattinata al Colle con il taglio agli incentivi sulle energie rinnovabili, cui ha fatto seguito nel pomeriggio una nuova versione del decreto che non conteneva più quella misura.

Infine, quella norma inserita non si sa bene in quali dei reiterati passaggi e riscritture, bollata dall'opposizione come «salva-Finivest», con annesse modifiche al codice di procedura civile, che sospendono in appello l'esecuzione delle condanne civili che superano i dieci milioni di euro e bloccano in Cassazione quelle che vanno oltre i 20 milioni. Norma appunto che si applicherebbe al caso Fininvest, condannata in primo grado a risarcire la Cir con 750 milioni di euro ed in attesa di sentenza d'appello.

Ce n'è abbastanza perché il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che non ha nascosto in queste ore critiche e riserve rispetto a questo modo di procedere, stia esaminando come fanno sapere i suoi collaboratori ‐ con «attenta e scrupolosa valutazione» tutte le norme contenute nel decreto legge varato formalmente giovedì scorso dal Consiglio dei ministri.

Non è evidentemente in discussione l'impianto, poiché Napolitano condivide a pieno l'intendimento del ministro dell'Economia Giulio Tremonti di conseguire nel 2014 il pareggio di bilancio, e dunque di concentrare nel biennio 2013-2014 la magna pars della correzione (oltre 40 miliardi). Il problema risiede appunto in norme inserite in una delle riscritture del testo, che potrebbero configurarsi come totalmente estranee al contenuto proprio del decreto, oppure evidenziare difetti di copertura o peggio ancora palesi violazioni del dettato costituzionale.

Scrupoloso e attento esame, norma dopo norma dalla prima all'ultima, si ripete al Colle. Una valutazione che autorizza quanto meno a dubitare che Napolitano possa avallare 'sic et simpliciter' il testo nella sua attuale formulazione. Si potrebbe rendere necessario a questo punto una sorta di ulteriore «supplemento di istruttoria», con la richiesta di correzioni al decreto, condizione indispensabile per autorizzarne la promulgazione. Ma qui siamo nel campo delle ipotesi, anche se non mancano i precedenti.

Basti ricordare, da ultimo, la correzione chiesta e ottenuta da Napolitano il 12 maggio scorso alla prima versione del decreto sviluppo: sub iudice erano in quel caso il 'tetto' di 90 anni per la concessione delle spiagge in uso ai privati, nonché la norma «blocca-ricorsi» per i precari della scuola. È probabile che vada così anche questa volta.

Quanto alla procedura seguita, la questione è di altro tipo, attiene ai rapporti di «leale collaborazione» tra organi dello Stato, oltre che a quella concertazione preliminare tra organi tecnici cui è affidato proprio il compito di evitare ulteriori, faticose e laboriose riscritture dei provvedimenti licenziati dal Consiglio dei ministri. Una volta chiusa questa fase preliminare, l'attenzione di Napolitano si sposterà sull'iter di conversione del decreto. È c'è da attendersi una vigilanza non meno puntuale e incisiva, poiché questa volta ben difficilmente il Capo dello Stato potrà accettare stravolgimenti del testo che lo trasformino in un provvedimento omnibus. Lo ha detto chiaramente lo scorso febbraio, nel promulgare il decreto 'milleproroghe', ottenendo un impegno formale da parte del governo e dei capigruppo a una «sostanziale inemendabilità» dei decreti legge.

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