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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2011 alle ore 14:42.

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Il confronto è penalizzante. L'Ukti, l'ente per l'internazionalizzazione delle imprese britanniche, nel 2010 ha avuto in dote l'equivalente di 328 milioni di euro per promuovere 22mila aziende sparse per il mondo. La nipponica Jetro ben 236, e ha operato in favore di 72.252 realtà all'estero, in certi casi anche non giapponesi, alle quali ha offerto, a pagamento, i propri servizi. La francese UbiFrance di milioni ne ha avuti 212, la spagnola Icex 204, mentre l'Italia s'è dovuta accontentare dei 135 milioni stanziati in favore dell'Ice e di circa 54.560 aziende italiane a forte vocazione internazionale.

Ebbene, adesso che l'Ice non c'è più, e si profila al suo posto un'Agenzia di coordinamento del made in Italy salutata con favore dal mondo delle imprese, anche quei pochi fondi, già impegnati, sono finiti nel freezer. Succede in un momento delicato per il made in Italy che vede, finalmente, la ripresa proprio al traino dell'export (+3% nel 2° trimestre, secondo l'Istat). Ma gli applausi per la razionalizzazione dell'ente lasciano il posto ai timori che le iniziative attivate non vadano in porto.

«Tutto è pronto per I Saloni WorldWide, 400 aziende che scaldano i muscoli per Mosca, ma l'ente cofinanziatore, l'Ice, è stato abolito dalla manovra e I Saloni in Russia sono a rischio, creando difficoltà concrete alla Federazione che deve supplire in questo momento alla mancata erogazione di fondi già messi a budget», dice Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo, l'associazione delle aziende del settore per le quali l'export è essenziale come l'aria. «In Italia si spende già molto poco per l'internazionalizzazione - aggiunge Snaidero - ma la nostra filiera ha esportato 11,6 miliardi di euro nel 2010 e nei primi mesi del 2011 le vendite all'estero sono cresciute del 9 per cento. Lo dico da ex consigliere dell'ente: mi rendo conto che l'Ice andava riformato, la cabina di regia è fondamentale, però non posso non rilevare che la riforma manca di un'essenziale fase transitoria. C'è una serie di eventi già pianificati che rischiano di saltare. Il sistema del legnoarredo vive di internazionalizzazione».

La sua non è l'unica voce preoccupata per le incertezze innescate dalla riforma che ha spazzato l'attuale assetto dell'Istituto per il commercio estero. I calzaturieri, per bocca del neopresidente, Cleto Sagripanti, «sottolineano il clima di incertezza per le imprese, specie in un momento molto delicato come questo, dove sembra profilarsi una leggera ripresa e c'è assoluto bisogno di politiche di internazionalizzazione forti e efficaci. Quello che chiediamo alle istituzioni è di garantire nel nuovo assetto organizzativo la massima attenzione alle nostre piccole e medie imprese, offrendo occasioni e strumenti concreti per sviluppare business. L'Ice ha garantito al settore calzaturiero una rete di supporto qualificata ed efficace per la valorizzazione del made in Italy attraverso manifestazioni fieristiche, missioni, incontri B2B, eventi e convegni». «Noi, per fortuna, abbiamo già svolto tutte le attività fieristiche nella prima metà dell'anno - dice Giancarlo Losma, presidente di Ucimu (aziende della meccanica) - che ne sarà della programmazione dell'anno prossimo?». Losma snocciola le sigle, ignote ai più, di fiere localizzate ai quattro cantoni del globo, dalla brasiliana Feimafe, alla cinese Cimt, alla Imtex di Bangalore alla russa Metallo Bmobokta a Mosca. E aggiunge: «Il piano del 2011, questo è certo, salta».

Anche dai costruttori italiani di macchine tessili (Acimit) parte un analogo segnale. Dice Sandro Salmoiraghi, il presidente: «Come imprenditore e presidente di un'associazione che rappresenta un settore fortemente internazionalizzato, visto che l'80% di quanto prodotto dalle nostre aziende è venduto fuori dai nostri confini, ho incontrato spesso nelle missioni all'estero sia il personale dalle ambasciate, che quello dell'Ice. Si tratta di approcci diversi, ma la scelta del Governo può avere successo solo se l'Ice verrà trasformata in una vera agenzia per l'internazionalizzazione e se verranno riviste le modalità di sostegno all'internazionalizzazione fornito alle Pmi italiane». E continua: «Per questo Acimit ritiene necessario un unico organismo che a livello nazionale, in raccordo con le diverse rappresentanze settoriali, elabori strategie di presenza sui mercati acquisiti e prospettici. È evidente la necessità di un'adeguata dotazione di fondi e un'autonoma capacità di spesa».

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