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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2011 alle ore 08:56.

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Poco preparati per entrare in aziendaPoco preparati per entrare in azienda

Investire in istruzione come antidoto alla crisi. Lo ha ricordato a maggio scorso l'ex governatore di Bankitalia, Mario Draghi nella sua ultima relazione annuale da numero uno di palazzo Koch. Ma lo dimostrano anche i dati ufficiali. Quelli più recenti, del Cnel per esempio, che hanno evidenziato come il titolo di studio non metta al riparo (in assoluto) dalle difficoltà. Tra il 2007 e il 2010 l'occupazione tra i "colletti bianchi" under 34 è calata di 41mila unità (meno 3,7%).

In ogni caso meno di quanto sia diminuita tra i ragazzi con titoli di studio più bassi. Per chi aveva in tasca solo un diploma, nello stesso quadriennio in esame, la contrazione è stata del 9,7% (pari a meno 246mila unità). Ancora peggio è andata ai giovani con sola licenzia media che hanno lasciato sul campo ben 380mila posti (meno 24,1%, sempre tra il 2007 e 2010). L'aver finito l'università poi (in una condizione di disoccupazione) consente un più agevole ingresso nell'occupazione.

E, dati AlmaLaurea, il titolo di "dottore" ha un "peso" in busta paga diverso dal semplice diploma. Tra i 25 e i 64 anni d'età la retribuzione di un laureato risulta più elevata del 55% rispetto a quella percepita da un lavoratore che si è fermato al semplice diploma di maturità. Insomma, quello che (per ora) non riesce a fare la crescita (che per l'Italia resta debole sia per il 2011 sia per l'anno successivo), potrebbe arrivare da un maggiore investimento nella scolarizzazione dei ragazzi.

Ma sono diversi ancora i nodi da risolvere. A partire da una crescita più robusta del numero di laureati. Nel 2004-2009 la quota di dottori tra i 30 e i 34 anni è aumentata appena dal 16% al 19%. Un livello molto lontano dal 40% da raggiungere nel 2020 fissato dalla Commissione europea. Bisogna fare di più. Come pure sul fronte delle risorse: l'Italia, tra pubblico e privato, spende in istruzione lo 0,88% del Pil (la Germania l'1,07%, il Regno Unito l'1,27%, la Francia l'1,39%, gli Stati Uniti il 3,11%). C'è poi da fare i conti con un gap (in alcuni settori, molto vistoso) tra formazione dei ragazzi e mercato del lavoro. Emblematico è il caso dei diplomati tecnici, di cui le imprese (ultime rilevazioni Excelsior-Unioncamere) hanno forte bisogno, ma non riescono a trovare.

Di «disallineamento di competenze» parla spesso il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha portato a casa giovedì un importante riforma, quella dell'apprendistato, che punta proprio (attraverso un mix di formazione e pratica sul campo) a ridurre questo problema. Anche l'apertura del collocamento agli istituti scolastici va in questa direzione. Ma lo sforzo principale deve arrivare dalla scuola e dalla sua capacità, ha ricordato il ministro Mariastella Gelmini, di sfornare giovani competenti. Ancora oggi infatti molte aziende non si fidano della preparazione dei ragazzi. Lo scorso anno a un convegno alla «Sapienza» anche l'ex presidente dell'Invalsi, Piero Cipollone ha rilanciato questo aspetto, parlando dell'esame di maturità. Una prova che costa all'Erario circa 200 milioni e poi, due mesi dopo, le università, con i test d'ingresso, valutano nuovamente le competenze delle neo matricole. E spesso le giudicano non all'altezza.

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