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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2011 alle ore 07:58.

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Fincantieri, Irisbus, Firema e non solo. La Campania, terra di eterne emergenze, a quanto pare è anche patria delle vertenze lavorative a ostacoli: in questo momento se ne contano 379 per un totale di quasi 36mila addetti che rischiano il posto.

Le stime arrivano dalla Cisl e sono persino arrotondate per difetto: «I sindacati - commenta il segretario regionale Lina Lucci - gestiscono direttamente soltanto le crisi di dimensioni maggiori, quelle che insomma hanno a che fare con l'industria e i servizi». Se si allarga il discorso a commercio e artigianato, in tutta probabilità torna buono il dato fornito a inizio anno dalla Regione che quantificò in 590 le vertenze in corso.

Curioso il quadro che si ricava a provare a definire le coordinate geografiche dei principali focolai di crisi: il numero più alto di vertenze (addirittura 154) spetta alla provincia di Caserta, un tempo seconda soltanto a quella di Milano per densità di imprese. Qui si avverte il peso della ormai storica sofferenza del comparto chimico, ma non se la passa bene neanche l'industria meccanica: vedi alla voce Firema, con 300 dei suoi 510 addetti che da ormai un anno tirano avanti ad ammortizzatori sociali. Segue la provincia di Napoli (86 vertenze in corso), dove in questo momento tiene banco soprattutto la vicenda Fincantieri che vede in bilico il futuro di 670 dipendenti diretti e 1.200 dell'indotto. A stretto giro fa seguito la provincia di Avellino, teatro di 83 crisi, davanti a Salerno e Benevento, dove le vertenze sono rispettivamente 43 e 13.

Diverse le 'gerarchie' per quanto riguarda il numero di addetti che rischiano il posto di lavoro in questa concitata fase dell'economia regionale: stavolta la leadership spetta alla provincia di Avellino, dove appaiono in bilico addirittura 14.426 addetti. Peserà sicuramente la vicenda di Irisbus, costola del gruppo Fiat Industrial in via di dismissione (proprio oggi è in programma un vertice governo-sindacati a Roma che potrebbe essere risolutivo) con 685 lavoratori diretti e 2.000 dell'indotto che attendono di conoscere il proprio destino. Grave comunque anche la situazione di Napoli (10.278 dipendenti a rischio) e Caserta (oltre ottomila unità), mentre decisamente meglio se la passano Salerno e Benevento, entrambe con poco più di 1.400 posti in bilico.

Dato lo scenario di fondo, si preannuncia a tutti gli effetti come un autunno caldo. Proprio il segretario campano di Cisl Lina Lucci nei giorni scorsi ha inviato al governatore Stefano Caldoro, ai presidenti delle province e ai sindaci dei comuni capoluogo un documento che, oltre a fotografare le crisi in atto, invoca «un recupero della credibilità di tutte le forze politiche della Campania». Un testo che innanzitutto fa da pungolo a Palazzo Santa Lucia affinché pressi sempre di più il governo nazionale e lo convinca «a liberare le risorse della Campania sulla base dei comportamenti virtuosi già in essere (risanamento dei conti e loro stabilità, piano di rientro della sanità) non per mero assistenzialismo come fatto in passato».

In più mette in mora l'attività di tre assessorati regionali: quello alle Attività produttive e ai trasporti, per la sua «assenza di iniziativa politica e propositiva» in vicende come quella dei contratti di programma e per la mancata predisposizione del Piano trasporti; quello al Personale che «a oltre un anno dall'annuncio di un progetto di riforma della macchina amministrativa della Giunta Regionale non lo ha mai presentato»; quello all'Urbanistica che tenendo «fermo il confronto sulla riqualificazione dei centri storici e sulla edilizia pubblica» concorre all'impasse in cui versa il settore delle costruzioni. «Abbiamo fin qui lasciato lavorare l'esecutivo regionale - dichiara Lucci -. Sapevamo che la situazione che hanno trovato, all'indomani del proprio insediamento, non era delle più facili. Ora non è più tempo di aperture di credito in bianco: passiamo a valutare la produttività della nostra classe dirigente. Mandiamo a casa chi non è in grado di sbloccare le risorse che potrebbero rimettere in moto la regione».

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