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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2011 alle ore 08:08.

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Cina paese delle biciclette. E, spesso, del dumping sistematico sui prezzi: una strategia utilizzata per conquistare quote di mercato spazzando via la concorrenza. Un'accoppiata – bici più dumping – che potrebbe avere effetti devastanti sull'industria italiana ed europea del settore. Come è già accaduto per il tessile o altri comparti della meccanica di precisione come rubinetteria e valvolame.

Ne è cosciente la Commissione europea che si appresta a rinnovare – all'inizio di ottobre a seguito dell'azione portata avanti dal vicepresidente Antonio Tajani – per altri cinque anni le misure antidumping sui componenti e sulle due ruote cinesi in ingresso nella Ue.

I dati Coliped (l'associazione europea che raggruppa i produttori di componenti) fatti propri dalla Commissione sono eloquenti: nel 2009 la Ue a 27 ha importato dalla Cina componenti per 458 milioni. «E senza misure antidumping – spiega Moreno Fioravanti, presidente Coliped – rischieremmo un'invasione di 13 milioni di biciclette cinesi». Uno scenario devastante «per un'industria che dà lavoro a 60mila addetti diretti e indiretti con un valore della produzione di circa 6 miliardi» ricorda Fioravanti. In questo contesto l'Italia è leader, come sottolinea Piero Nigrelli, direttore del settore ciclo di Ancma (l'Associazione nazionale ciclo, motociclo e accessori di Confindustria): «Siamo il principale produttore con quasi 2,5 milioni di biciclette assemblate, 12mila addetti totali e un valore della produzione di 1,2 miliardi».

Secondo quanto emerge dai dati Ancma, tra il 1995 e il 2010 l'export di biciclette italiane si è dimezzato, passando da 2,7 milioni di pezzi a 1,35 milioni. In compenso le importazioni sono cresciute del 338%, da 145mila a 636mila. In valore, nel 2010 abbiamo esportato bici per 126 milioni di euro, a fronte di importazioni per 103 milioni. L'export di componenti (dai telai alle forcelle, dai pedali ai cambi) ha toccato i 391 milioni, contro i 284 milioni dell'import. Il trend rispetto al 2009, però, vede le voci in entrata correre con un "rapporto lungo" – per usare una metafora ciclistica –: +31% per le bici (solo +6,2% l'export) e +19% i componenti (+12,3% le esportazioni).

L'Italia vanta costruttori d'eccellenza a livello internazionale come De Rosa, Colnago, Pinarello e componentisti come Campagnolo. «La filiera – dice Fioravanti – coinvolge la meccanica fine, con fornitori d'eccellenza, e se intaccata pesantemente avrebbe ricadute negative anche su altri comparti: chi opera sui profili in alluminio lavora anche per i settori auto e aeronautica, lo stesso vale per i componentisti che realizzano i telai in carbonio». Il rischio è di fare la fine degli Stati Uniti: «Nel 1992 producevano 11 milioni di biciclette – ricorda Nigrelli – nel 1996 erano scesi a 350mila». Il direttore di Ancma è chiaro: «Ci accusano di essere protezionisti e un settore decotto, ma non è così. L'antidumping è l'unico sasso che Davide può usare contro il Golia cinese, che pratica prezzi di oltre il 50% inferiori rispetto ai nostri, grazie alle sovvenzioni governative sull'export e a costi dell'energia e della manodopera bassissimi rispetto ai nostri».

Le misure antiduping e anti circumvention (relative queste ultime a una serie di componenti, per evitare che i cinesi aggirino le misure esportando nella Ue singole parti da assemblare in un secondo momento) dovrebbero, come detto, essere prorogate per 5 anni a ottobre (la prima proposta presentata al Comitato antidumping, prevedeva un rinnovo limitato a 3 anni), ma le imprese temono possibili modifiche, sotto la pressione dei rappresentanti del Nord Europa e delle lobby cinesi, che limitino l'efficacia del provvedimento.

«Purtroppo sono in pochi ad ascoltare le ragioni delle Pmi – afferma Fioravanti – fortunatamente la portata di questa battaglia è stata compresa e condivisa nella Ue dal vicepresidente Tajani».

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