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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2011 alle ore 10:03.

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A un primo sguardo, c'è poco di italiano nella 34esima edizione della Coppa America. Anzi, non c'è proprio niente di italiano. Le prime regate del trofeo sportivo più antico al mondo si sono svolte a Cascais, in Portogallo, dall'8 al 14 agosto: i catamarani di 45 piedi che possono superare i 50 chilometri all'ora di velocità e per essere messi in acqua hanno bisogno di una gru, passeranno i prossimi due anni a studiarsi, sfidarsi e migliorarsi.

Perché in 150 anni di storia (la prima edizione dell'America's Cup risale al 1851, la 33esima al 2010) è solo la seconda volta che la Coppa si fa con barche multiscafo, per la precisione biscafo, cioè catamarani. La prima tappa della cosiddette America's Cup Word Series, quella di Cascais, è stata vinta da Emirates Team New Zealand: al timone c'era il giovane Dean Barker, che nel cuore dei neozelandesi - per i quali la vela, insieme al rugby, è lo sport nazionale - ha preso il posto di Russell Coutts, passato in pochi anni da eroe (nel 1995 sfilò la Coppa agli americani) a traditore: nel 2001 cedette alle lusinghe del miliardario svizzero Ernesto Bertarelli e timonò Alinghi alla conquista del trofeo, battendo proprio i suoi connazionali.

La nuova formula di Coppa America è nata anche dal genio sportivo (e di business) di Coutts, che nel frattempo ha lasciato pure Alinghi e ora lavora per Oracle, il team di un altro miliardario, Larry Ellison, attuale detentore del trofeo. A Cascais Coutts si è piazzato solo quarto su nove, ma potrà prendersi presto una rivincita: le prossime regate sono in programma a Plymouth, in Inghilterra, tra meno di un mese. Ma torniamo agli italiani: Bruno Troublè, inventore della Louis Vuitton Cup, il trofeo che verrà assegnato al primo degli sfidanti di Oracle, unico degno di giocarsi la vera finale con i detentori della Coppa, a Cascais non si stancava di ripetere che «l'America's Cup senza italiani non è l'America's Cup».

Dello stesso parere la lady di ferro della Louis Vuitton Cup, Christine Bélanger, da anni organizzatrice implacabile degli eventi legati alla competizione: «Tutti ricordano le partecipazioni di Azzurra, Moro di Venezia e naturalmente Luna Rossa, sono state barche competitive e allo stesso tempo esempi di stile e carisma, a partire dai loro armatori». Patrizio Bertelli, ceo di Prada e anima, anche economica, di Luna Rossa, a Cascais sembrava il convitato di pietra. In molti sostengono che la sua voglia di partecipare sia tanta e che potrebbe annunciare il gran rientro nel 2012. Ma da Prada la smentita è secca: per la 34esima edizione della Coppa Bertelli sarà solo spettatore, per quanto appassionato. Nel 2010 Vincenzo Onorato, patron di Mascalzone Latino, che aveva preso parte alla 32esima edizione di Valencia, aveva garantito la sua partecipazione, poi si è ritirato.

Il problema sono prima di tutto i costi: Craig Thompson, ceo di Acea, il braccio organizzativo della Coppa America, non può fare cifre, ma non è un mistero che il budget minimo per ogni team è di 30 milioni di euro. Anche se Ellison ne ha già spesi 250, dicono. Oracle del resto, seconda software company al mondo, macina profitti ben più alti ogni singolo trimestre. Per chiunque altro - miliardari europei compresi - partecipare alla Coppa è davvero oneroso. Thompson spiega che le tv e gli sponsor sono sempre più interessate: le regate con i catamarani sono uno spettacolo e la tecnologia utilizzata (telecamere a bordo, riprese dall'alto con elicotteri ed elaborazioni al computer per far comprendere anche ai profani della vela cosa accade in acqua) non farà che aumentare le richieste e quindi le potenziali entrate per i team.

Poca, Italia, dunque, ma solo a un primo sguardo. Perché a ben vedere dietro ai successi di New Zealand c'è proprio un italiano, Matteo De Nora, imprenditore e manager che da anni si muove tra Nuova Zelanda, Svizzera e Italia e che, mosso soprattutto da passione per la vela e amore per il paese dei kiwi, ha fatto da deus ex machina per organizzare la sfida e trovare gli sponsor.

A Cascais si muoveva felice tra i suoi "ragazzi" e pronosticava fin dai primi giorni i loro successi. Augurandosi allo stesso tempo, a sua volta, l'arrivo di team a tutti gli effetti italiani. O magari una tappa in Italia delle World Series iniziate in Portogallo: le candidate sono Napoli e Venezia, anche se tutti sperano in Trapani, che Troublè ricorda come una delle città più ospitali delle regate di avvicinamento alla 32esima edizione. Il problema ancora una volta sono i costi: Cascais ha sborsato ad Acea 500mila euro (benché la richiesta iniziale fosse almeno il doppio): in tempi di tagli agli enti locali sembrano cifre inarrivabili.

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