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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2011 alle ore 13:32.

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NEW YORK – Negli ultimi anni l’esternalizzazione dei servizi è stata una causa persistente di panico e di protezionismo, soprattutto negli Stati Uniti dopo l’elezione presidenziale del 2004. A quel tempo, il candidato democratico, il senatore John Kerry, saputo che l’Ospedale Generale del Massachusset a Boston esternalizzava l’esame dei raggi x digitali a dei radiologi indiani, denunciò le imprese che mettevano in atto questa pratica, attribuendo loro il nome di Benedict Arnolds, il traditore più infame della storia statunitense.

Il passo sbagliato di Kerry creò un’ondata di allarme nei confronti dell’outsourcing in tutto il mondo occidentale. Se il libero commercio vuole riconquistare il supporto degli statisti che adesso esitano a liberalizzare il commercio verso i paesi in via di sviluppo, il mito che descrive l’esternalizzazione come un insulto deve essere sfatato.

Mito 1: L’esternalizzazione sarà come uno tsunami. Anche se perfino un economista accorto come uno degli ex membri del consiglio della Federal Reserve, Alan Blinder, la pensava così, quest’eventualità è poco probabile per svariate ragioni sia naturali che dipendenti dall’uomo. Se ne prendano in considerazione almeno due.

Primo, non è possibile esternalizzare tutto. Per esempio, il fatto che io possa chiamare qualcuno a Bangalore che mi spieghi come aggiustare un problema del mio computer presuppone che io capisca le sue istruzioni. Ci ho provato con un computer Dell e mi sono arreso dopo ripetuti tentativi. Ero così disperato che ho chiesto a Michael Dell, che ho incontrato al World Economic Forum, di rimpiazzarlo.

Questa soluzione non è accessibile agli altri naturalmente. Quindi adesso la Dell ha smesso di far affidamento sui call centers. Al contrario, sono apparsi molti fontanieri elettronici che vengono a mettere a posto il computer, mentre si è altrove a lavorare impegnati ad utilizzare le proprie competenze.

Secondo, ci sono restrizioni artificiali all’esternalizzazione di alcuni tipi particolari di imprese: le organizzazioni di professionisti spesso riescono ad uccidere l’esternalizzazione semplicemente richiedendo credenziali che solo loro possiedono. Quindi i radiologi stranieri hanno bisogno di una certificazione americana per poter leggere i raggi x mandati dagli Stati Uniti. Fino a poco tempo fa, solo due aziende straniere avevano le qualifiche adeguate.

Mito 2: L’esternalizzazione sarà sempre unidirezionale, dai ricchi verso i poveri. C’è molto commercio bilaterale nel manifatturiero, anche solo all’interno di una sola industria. Gli economisti lo chiamano commercio intra-industriale. Ma quando si tratta dei servizi, la popolare paura è che l’outsourcing avvenga solo in una direzione. Questa paura è priva di fondamento.

Infatti vi è stata una crescita sostenuta dell’ esternalizzazione inversa, in altre parole dell’ internalizzazione. Le aziende indiane quali Infosys and Wipro, giganti del settore della tecnologia informatica, oggi cercano di dotarsi di servizi all’avanguardia e di talenti altamente specializzati poiché sono in competizione su mercati locali come quello statunitense. IQor, l’enorme impresa di esternalizzazione di Vikas Kapoor, ha oggi negli Stati Uniti 12 sedi che annoverano metà dei suoi 11 mila impiegati.

Mito 3: Esternalizzare costa in termini di posti di lavoro. Una delle tesi normalmente sostenute dai democratici americani contro gli ex amministratori delegati in corsa per il Congresso con i Repubblicani lo scorso anno è stata che questi avessero esportato posti lavoro americani. La senatrice Barbara Boxer ha inveito continuamente contro Carly Fiorina, ex amministratrice dell’Hewlett-Packard, accusandola di aver esportato 35 mila posti di lavoro. La replica scontata sarebbe dovuta essere: Si, sono stati esternalizzati 30 mila posti di lavoro. Ma se non lo avessi fatto, l’HP sarebbe diventata non-competitiva sui mercati ferocemente competitivi, e sarebbero andati persi 100 mila posti di lavoro.

Un altro falso pregiudizio riguardo al lavoro è quello che ritiene che quando un posto di lavoro scompare in un paese occidentale ed appare in India deve essere stato esportato da disonesti uomini d’affari. Ma, in molti casi, sarebbe stato anti economico trattenere il lavoro in occidente, indipendentemente dal fatto che questo venga creato o meno in India.

Se una casa di cura negli Stati Uniti spende 2$ a chiamata per avere qualcuno che ricordi ai pazienti di prendere la loro medicina, il lavoro per offrire un tale servizio scomparirà. Ma se in India la chiamata può essere effettuata per 0.25$ la casa di cura potrebbe essere interessata. Ciò farebbe stare i suoi pazienti in migliori condizioni di salute, renderebbe più redditizia la produzione di farmaci, e l’India più ricca, poiché aumenterebbe l’occupazione.

In sintesi, tutti traggono vantaggio dall’esternalizzazione dei servizi. Ma, ahimè, pochi lo capiscono.
Jagdish Bhagwati, Professore di Economia e Legge alla Columbia University e Senior Fellow in Economia Internazionale presso il Consiglio di Relazioni Estere, è stato co-presidente del Gruppo di Esperti di Relazioni Commerciali di Alto Livello nominato dai governi dell’Inghilterra, Germania, Indonesia e Turchia.
Copyright: Project Syndicate, 2011.
www.project-syndicate.orgTradotto dall’inglese da Roberta Ziparo

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