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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2011 alle ore 08:12.

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Le incertezze sono «insolitamente alte». I margini di errore - come sempre per l'Ocse - molto ampi. Le previsioni dell'Organizzazione di Parigi sono state comunque una doccia fredda. Troppo imprecise forse per i mercati, che hanno rivolto più attenzione a quelle della Bce (che danno un'indicazione sulla politica monetaria e non restano astratte), ma comunque inquietanti.

Le proiezioni annunciate ieri disegnano infatti un mondo diverso rispetto a quello che si stava disegnando. Il Giappone sembra dover crescere e in modo relativamente robusto; l'America rallenta ma non quanto la Germania, che nel quarto trimestre riesce persino a fare peggio dell'Italia, l'unico Paese che non rivela sorprese, e resta in sostanza nel limbo della crescita zero (poco più, poco meno). Ovunque si aggira lo spettro del double dip, di una seconda recessione che segnerebbe un brusco stop di una ripresa già anemica.

Che valore bisogna dare a questi numeri? Le previsioni non sono facili, oggi meno che mai: i dati macroeconomici più frequenti sono spesso contraddittori e non permettono di estrapolare un trend univoco. Anche la Bce, con tutte le sue antenne e la sua prudenza, ha dovuto cambiare ieri un orientamento adottato solo qualche mese fa, lasciando intendere che la sua piccola stretta si è, nella migliore delle ipotesi, interrotta; mentre la Fed, che sembrava aver messo i suoi motori al minimo (senza spegnerli), potrebbe ora rilanciare, con prospettive incerte, la sua politica ultraespansiva.

Non bisogna allora leggere troppo, né troppo poco nelle proiezioni (che pure disegnano scenari utili). Le indicazioni dell'Ocse, piuttosto, ci ricordano quanto sia rilevante l'incertezza. È a questa che Raghuram Rajan, allora capo economista dell'Fmi, ricollegò la relativa scarsità d'investimenti fissi prima della Grande contrazione; è nel desiderio un po' illusorio di fuggirla, e nella forte, eccessiva domanda degli scarsi asset sicuri (le famigerate "triple A", moltiplicate ad arte), che Ricardo Caballero dell'Mit ha individuato le radici della crisi finanziaria. Ed è l'incertezza, ancora oggi, che domina nell'analisi e nell'elaborazione delle strategie economiche: quanto ancora può davvero fare la politica monetaria? E quanto quella fiscale? Muovendosi in quale direzione, l'austerità o la spesa?

Viene allora il dubbio - anche osservando le reazioni sulle Borse, sui mercati dei bond, su quelli monetari oggi di nuovo in tensione - che le vere risorse scarse siano oggi quelle che riducano questa incertezza: le informazioni (la trasparenza che Jean-Claude Trichet invocava dopo la crisi finanziaria), l'impegno, la responsabilità, la reputazione, la credibilità. Soprattutto nel contorto e poco affidabile mondo della politica. Sono quei valori etici che coincidono - un po' a sorpresa - con quelli economici. Perché l'avidità non è buona, gli espedienti neanche.

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