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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2011 alle ore 06:40.

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Anche l'impresa sociale, che pure è il segmento più dinamico del mondo non profit, perde quota sotto i colpi della crisi. I ritardi nei pagamenti da parte degli enti pubblici per le attività svolte in convenzione, le difficoltà finanziarie e le minori partnership con le aziende stanno mettendo alle corde questa tipologia di imprese, disciplinate da una legislazione ad hoc e vincolate a precisi ambiti di attività di interesse collettivo.
A segnalare performance medie in profondo rosso, rispetto alla timida ripresa del 2010, è l'Osservatorio Isnet, rapporto curato dall'omonima associazione, che coordina una rete di 900 imprese sociali presenti sul territorio nazionale, realizzato con il supporto scientifico di Aiccon, Centro studi per la diffusione della cultura non profit, promosso dall'università di Bologna, dal movimento cooperativo e da alcune organizzazioni del Terzo settore.
L'edizione 2011 dello studio, del quale vengono qui sintetizzati i primi risultati, sarà presentata giovedì 15 a Riva del Garda, in occasione del nono workshop nazionale sull'impresa sociale organizzato da Iris Network ed Euricse, fondazione di partecipazione che opera nell'ambito dell'università di Trento. Il meeting farà perno sull'innovazione come motore dello sviluppo, mettendo in vetrina le migliori esperienze nazionali ed europee.
In base ai dati dell'Osservatorio Isnet si osserva che dal 2007, anno di prima rilevazione, la quota di organizzazioni in difficoltà è aumentata del 24% (dal 15 al 39%), mentre le realtà che si dichiarano in crescita sono diminuite di 19 punti (al 25% dall'iniziale 44%). Tra gli enti che, già nel 2010, erano in difficoltà, ben il 55,1% afferma che l'anno in corso è peggiore. Complessivamente la quota di imprese sociali alle corde tocca il 39,8 per cento, il valore più alto mai registrato.
«I dati parlano chiaramente di crisi», commenta Carlo Borzaga, presidente di Iris Network, che però non chiude la porta a una visione prospettica in positivo. «In una fase così difficile le imprese sociali reagiscono in modo differenziato. Molte rilanciano, investendo e innovando, altre rischiano di rimanere legate a modelli di business obsoleti. Le competenze, ma anche le culture e i valori dell'imprenditore sociale sono la chiave per il rilancio».
In effetti il dinamismo relazionale sembra influenzare positivamente la performance economica: le cooperative sociali con relazioni in aumento, secondo l'Osservatorio, sono quelle che meglio fronteggiano la congiuntura avversa. Per Laura Bongiovanni, presidente di Isnet, «i numeri confermano l'esistenza di una forte correlazione diretta tra capacità relazionale e performance complessiva delle non profit. Rispetto alle precedenti edizioni va detto, però, che anche i segmenti più attivi cominciano a risentire del perdurare della crisi».
Un'altra indagine che sarà presentata al workshop di Riva del Garda, in questo caso realizzata da Iris Network con Unioncamere, su un campione rappresentativo delle quasi 12mila imprese sociali censite nei database camerali, evidenzia la marcata differenziazione che si sta creando nella galassia delle imprese sociali. Il 50%, ormai, opera in settori diversi dai tradizionali servizi sanitari e socio-assistenziali; il 19% ha introdotto innovazioni di processo e il 10% innovazioni di prodotto; il 47% coinvolge i lavoratori nella gestione, l'8% anche gli utenti; il 45%, infine, propone tariffe differenziate per favorire l'accesso ai servizi da parte di fasce deboli della popolazione. Si riscontra, dunque, una forte determinazione a uscire dalle strettoie, ma anche una certa fragilità strutturale. E non va certamente in direzione di un sostegno la manovra del Governo, che taglia il regime fiscale agevolato. Per Paolo Venturi, direttore di Aiccon, «questa scelta rischia di eliminare dal mercato uno degli strumenti più efficaci nel produrre contemporaneamente fatturato e coesione sociale».
«In primo luogo - afferma Venturi - è evidente che ci si concentra sull'effetto immediato di fare cassa, senza porsi il problema del dopo. Un po' come quando una famiglia vende l'argenteria per pagare i debiti, ma poi è incapace di trovare le risorse per costruirsi un futuro. Il rischio è che, indebolendo le cooperative sociali, si decreti la scomparsa delle esternalità positive che producono. Per esempio, il risparmio economico per la fiscalità generale di ogni soggetto svantaggiato inserito in cooperativa sociale è stimabile in almeno 7mila euro l'anno. Quindi lo Stato incasserà qualcosa, ma perderà molto di più». Inoltre «la cooperazione è stata fin qui il migliore antidoto contro la jobless growth, ossia la crescita senza la generazione di posti di lavoro, e questo meccanismo virtuoso ora rischia di arrestarsi».
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