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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2011 alle ore 20:45.

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Negli ultimi mesi diverse persone mi hanno chiesto che cosa ne penso di Bitcoin, un tentativo di creare una sorta di cybervaluta privata.
Alexander Kowalski, di Bloomberg News, mi ha segnalato un articolo di Jim Surowiecki sull'argomento nel numero di settembre/ottobre della M.I.T. Technology Review. È molto interessante.

La mia prima reazione è stata: «Beh, che c'è di nuovo?». Ci sono già un mucchio di modi per pagare con strumenti elettronici; anzi, gran parte del sistema monetario convenzionale è già virtuale e fa affidamento su una contabilità digitale invece che su pezzi di carta verdi. Ma poi ho scoperto che c'è una differenza: Bitcoin, invece di fissare il valore della moneta virtuale rispetto a quei pezzi di carta verdi, fissa la quantità complessiva di cybervaluta e lascia che il cambio con il dollaro fluttui liberamente. In pratica ha creato un suo gold standard, dove l'offerta di moneta è fissa e non può essere incrementata «stampando» moneta.

Come sta andando l'esperimento? Il valore in dollari di questa cybervaluta ha avuto forti oscillazioni, ma complessivamente è cresciuto parecchio. Comprare Bitcoin, quindi, almeno finora è stato un buon investimento.
Ma è sufficiente per definire l'esperimento un successo? Direi di no. Quello che vogliamo da un sistema monetario non è che arricchisca chi possiede quella moneta; vogliamo che faciliti le transazioni e renda ricca l'economia nel suo insieme. E con il Bitcoin non sta succedendo niente del genere.

«La gente ha cominciato a vederlo principalmente come un modo per fare soldi», scrive Surowiecki nel suo articolo. «In altre parole, invece di essere usati come una valuta, i Bitcoin oggi sono visti prevalentemente (e scambiati) come un investimento». E continua: «Le valute importanti sono usate per eseguire le transazioni commerciali quotidiane e per lubrificare gli scambi, ma se comprate Bitcoin nella speranza che il loro valore schizzi alle stelle […] non siete interessati a scambiare questi Bitcoin con delle merci, perché in tal caso se il valore della moneta salisse voi ci rimettereste. Invece ve li tenete e aspettate il momento buono per passare all'incasso».

Vale la pena ricordare che negli ultimi anni i prezzi in dollari sono rimasti relativamente stabili: sì, nel 2008-2009 c'è stata un po' di deflazione, poi un po' di inflazione quando i prezzi delle materie prime sono tornati a salire, ma complessivamente i prezzi al consumi sono poco più alti di quanto non fossero tre anni fa.

Tutto questo significa che i prezzi, misurati in Bitcoin, sono precipitati: l'economia del Bitcoin ha subìto una deflazione di proporzioni drammatiche.

C'è stato quindi un incentivo ad ammassare la moneta virtuale invece di spenderla. Il valore effettivo delle transazioni in Bitcoin è diminuito, non aumentato. Anzi, il prodotto lordo reale in Bitcoin è diminuito nettamente.
Per quel che vale, dunque, questo esperimento rafforza la tesi di tutti coloro che vedono con ostilità qualunque cosa assomigli a una riedizione del gold standard, perché dimostra quanto un sistema del genere sia vulnerabile a tesaurizzazione, deflazione e depressione. (Traduzione di Fabio Galimberti)

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