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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2011 alle ore 07:35.

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PARMA. «La decisione di Marchionne conferma la linea sindacale degli accordi di Pomigliano e di Mirafiori. C'è da auspicare che le divergenze con Confindustria si ricompongano, su una linea di chiara di modernizzazione delle relazioni industriali per attrarre investimenti e occupazione. In questo momento una Confindustria disgregata non gioverebbe a nessuno».

Appare un po' preoccupato il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, artefice dell'ormai famoso "articolo 8" della manovra di Ferragosto, dopo la decisione annunciata dalla Fiat di lasciare Confindustria dall'inizio del prossimo anno.

In questo senso, è anche una "sconfitta" del Governo?
«Ci vuole pregiudizio per leggere la cosa in questi termini», replica Sacconi appena giunto a Parma per inaugurare il centro ricerca del gruppo farmaceutico Chiesi, solo un paio d'ore dopo che le agenzie avevano battuto la notizia. «Marchionne dice che vuole applicare l'articolo 8 fino in fondo e chiede che ci sia una linea chiara del sistema confindustriale anche perché è stata Confindustria a chiederlo». Una posizione che «non può non vedermi d'accordo» aggiunge il ministro sottolineando che si parla di una norma vigente e dunque da applicare.
Possibile una marcia indietro?
«Mi auguro solo che si determini una unità confindustriale - insiste Sacconi - su una linea sindacale chiaramente rivolta a modernizzare le relazioni industriali. La cosa più importante sono gli investimenti che Marchionne ha annunciato per Mirafiori e Avellino sul nuovo motore e la nuova vettura».

Preoccupato è anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani che considera «veramente negativa» la decisione di Fiat di lasciare Confindustria. Ma le analogie con il ministro finiscono qui. «Come ha detto con forza Emma Marcegaglia - sottolinea infatti Bersani, tra i primi a sollevare a fine agosto la questione dell'articolo 8 - non c'è nessuna ragione perché non si possa creare flessibilità in un quadro di tenuta del sistema. Voglio sperare - aggiunge - che non si tratti di qualcosa di più profondo che sta avvenendo» in Fiat. «Il paese va tenuto assieme. Non c'è solo la responsabilità della politica, c'è anche quella di tutta la classe dirigente». A Sacconi replica l'ex ministro e deputato Pd Cesare Damiano secondo il quale quando il ministro si preoccupa di affermare che la scelta di Marchionne non è contro il Governo o contro l'articolo 8 «conferma una visione miope tesa solo a giustificare le proprie scelte sbagliate piuttosto che ricercare l'interesse generale del paese».

Attaccano, invece, la presidenza di Confindustria e senza giri di parole gli esponenti della maggioranza. «Marcegaglia - affonda il presidente del Pdl Fabrizio Cicchitto - prima di attaccare il Governo dovrebbe occuparsi della tenuta dell'associazione degli imprenditori perché l'uscita della Fiat le infligge un colpo durissimo che mette in evidenza l'incapacità della struttura confindustriale di rappresentare sia le grandissime che le piccolissime imprese». Più ironico Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl: «Con una Confindustria palesemente indebolita bisognerà confrontarsi con più soggetti, compresi quelli che pubblicano editti a pagamento» con un esplicito riferimento a Diego Della Valle. «La verità - aggiunge - è che coloro che sono pronti a dare lezioni poi registrano dafaillance in casa propria».
Sull'altro fronte va giù pesante anche l'Idv che con il responsabile welfare Maurizio Zipponi interpreta la decisione di Marchione e gli argomenti usati per spiegarla come «la definitiva fuga della Fiat dall'Italia, con un sacco pieno di soldi, lasciando gli stabilimenti chiusi o in cassa integrazione».

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