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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 alle ore 21:38.

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«Gino Giugni è stato un grande innovatore, andando contro corrente ha "inventato" il moderno diritto del lavoro, e da giurista-sociologo è diventato il caposcuola dei giuslavoristi». Con queste parole Sabino Cassese ha introdotto il convegno che la Luiss ha dedicato a Gino Giugni, a due anni dalla scomparsa del "padre" dello Statuto dei lavoratori, tra i protagonisti nel 1993 – con il governo Ciampi – del protocollo con le parti sociali sulla politica dei redditi, che inaugurò la stagione della concertazione. «Giugni aveva molta fiducia nella concertazione come strumento di coesione sociale che rinvigorisce la politica e le relazioni industriali», ricorda Tiziano Treu.

Nel ritratto tracciato da Cassese, quella di Giugni può essere considerata una figura "isolata" nel contesto accademico italiano dell'immediato dopoguerra: nasce penalista laureandosi con Sebastiano Vassalli, successivamente negli anni 50 si specializza alla scuola americana del Wisconsin, grazie ad una borsa di studio. Al rientro fonda il Giornale di diritto del lavoro insieme allo stesso Cassese, a Giuliano Amato e a Stefano Rodotà. «La rivista nasce dall'esigenza di riformare nel suo insieme la scienza giuridica – spiega Amato –. Da giurista-sociologo, Giugni è convinto che il diritto del lavoro scaturisca dalla contrattazione sindacale». La riflessione di Giugni, sottolinea Cassese, parte dalla constatazione che nonostante l'inerzia del legislatore che ha lasciato inattuato l'articolo 39 della Costituzione, la realtà è caratterizzata dalla contrattazione svolta dai sindacati che nei fatti sostituisce la legge. Per Giugni la miriade di contratti e di intese frutto delle relazioni industriali non può essere interpretata con le categorie giuridiche tradizionali. Di qui si sviluppa la teoria dell'ordinamento intersindacale. E con essa, l'idea dell'autonomia della funzione sindacale, capace di contribuire al progresso civile.

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