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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2011 alle ore 11:48.

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WASHINGTON, DC – Anche gli scettici lo ammettono: gli aiuti efficaci funzionano. Negli ultimi 25 anni la percentuale di poveri nei Paesi in via di sviluppo si è dimezzata, e nell’ultimo decennio abbiamo assistito a degli straordinari successi sul fronte dello sviluppo in Paesi dove un tempo si pensava non ci fosse più nulla da fare.

A livello globale il tasso di mortalità per i bambini sotto i cinque anni è sceso di un terzo, e le economie dell’Africa subsahariana sono cresciute in media del 6% annuo. Ad eccezione dei Paesi fragili e devastati dai conflitti, gli odierni Paesi poveri sono molti diversi da quelli del passato.

Negli anni Novanta le economie dei Paesi in via di sviluppo rappresentavano solo un quinto della crescita economica globale. Oggi molti di essi guidano l’economia globale. Alcuni stimano che entro il 2025 sei importanti economie emergenti (Cina, Corea del Sud, Indonesia, Brasile, India e Russia) rappresenteranno congiuntamente oltre la metà dell’intera crescita globale.

Esistono però anche storie di successo meno note. Prendiamo ad esempio l’Etiopia, che malgrado una delle peggiori crisi mondiali dei nostri tempi, è da oltre sette anni consecutivi il Paese africano, con assenza di risorse, a più rapida crescita e ha raggiunto in media una crescita del Pil pari all’11% annuo dal 2003. E numerosi Paesi poveri hanno iniziato a creare istituzioni efficaci, a tenere sotto controllo la spesa, a gestire i propri bilanci e a fornire maggiori servizi ai cittadini.

Se da un lato questi risultati sono straordinari, dall’altro c’è ancora molto da fare. Paradossalmente, è proprio sulla base di questi successi che dobbiamo ripensare agli aiuti per lo sviluppo. I Paesi sviluppati stanno alimentando un prolungamento della crisi, e dal momento che i Paesi in via di sviluppo hanno generato due terzi della crescita globale negli ultimi cinque anni, la ripresa a livello mondiale dipenderà proprio dalle future prestazioni di tali Paesi. In questo mondo davvero multipolare, il classico rapporto di assistenza tra donatori e destinatari – che spesso prevede insegnanti e studenti – è semplicemente obsoleto.

Quando alla fine di novembre gli esperti sul fronte sviluppo si incontreranno a Busan, in Corea, per discutere come rendere più efficaci gli aiuti, dovrebbero tenere a mente tre principi fondamentali.

Primo. Più i Paesi si sviluppano, più sono disposti a prendere in mano il proprio futuro, e sono meno desiderosi di sentirsi dire cosa sia meglio per loro.

Questo lo so per esperienza diretta. Quando l’Indonesia fu colpita dallo tsunami nel 2004, ero un ministro del governo responsabile della pianificazione. La situazione sembrava insostenibile. Nella sola Aceh avevano perso la vita 230.000 persone e 500.000 si sono ritrovate senza un tetto nel giro di una notte. I danni stimati ammontavano ad oltre 4,5 miliardi di dollari, e i costi della ricostruzione erano persino più elevati.

Dopo i massicci flussi di aiuti erogati grazie alla straordinaria generosità dimostrata a livello internazionale, ho presieduto un meeting sul coordinamento dei soccorsi, cui hanno partecipato centinaia di esperti in rappresentanza di decina di organizzazioni. Molti non avevano mai lavorato in Indonesia, ma ciò nonostante hanno creduto di sapere come potessero essere gestiti al meglio gli aiuti. In un momento di tensione ho dovuto ricordare a uno dei partecipanti che nessuno era responsabile del nostro futuro eccetto noi, cioè i cittadini indonesiani. Sapevamo che senza proprietà locale e leadership, gli aiuti non avrebbero funzionato.

Oggi Aceh viene acclamato come un successo in termini di ricostruzione. Il risultato non è affatto perfetto, ma considerata la portata della sfida, è impressionante. Molte aree sono state ricostruite, spesso meglio rispetto al passato. Le persone si sentono più sicure e hanno ripreso la propria vita. La risposta allo tsunami è stata una lezione positiva sul fronte degli aiuti ed è stata appresa da tutte le parti.

Secondo. Man mano che il terreno di sviluppo cresce e si affolla, con un aumento del numero di donatori e partner, dobbiamo garantire che tutti i nostri sforzi siano coordinati, e che venga sfruttato il know-how e le nuove idee che verranno messe sul tavolo dai nuovi arrivati. Oggi i Paesi dei mercati emergenti hanno spesso bisogno di denaro e di competenze, come è stato evidente a seguito del terremoto di Haiti, quando i primi soccorsi sono sopraggiunti dal Brasile e dalla Colombia.

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