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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2011 alle ore 06:40.

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MILANO
«L'aumento delle sofferenze è un tarlo che erode il nostro patrimonio e per continuare a sostenere le Pmi al nostro sistema servono nuove risorse».
Pietro Mulatero, presidente di Federconfidi, la principale associazione italiana dei consorzi fidi, va diritto al punto. La federazione, che raggruppa 47 enti con quasi 90mila imprese associate, patisce come le banche le difficoltà nel rimborso dei prestiti, che nei primi nove mesi 2011 hanno portato ad un forte rialzo dei crediti a rischio. «Lo scorso anno la moratoria sui debiti ha sterilizzato il problema – spiega Mulatero – ma ora l'aumento delle sofferenze è nell'ordine del 25-30 per cento. L'altro segnale di disagio che arriva dalle imprese è l'aumento delle richieste sul breve termine, ormai quasi il 50% del totale a fronte di un dato storico del 20 per cento».
Cosa fare? Il nodo principale è rappresentato dai requisiti patrimoniali, più stringenti ora che molti consorzi ricadono all'interno della vigilanza di Bankitalia. L'iniezione di nuove risorse spetterebbe ai soci, cioè principalmente alle Pmi. «Di norma dovrebbe essere così – spiega Mulatero – ma questo non è un momento normale, impossibile chiedere sforzi ulteriori alle piccole imprese italiane. La legge attuale limita di molto la platea dei possibili finanziatori mentre in questo momento occorre trovare soluzioni che vadano oltre Regioni e Camere di commercio. Credo si possano cercare altre vie, come ad esempio l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti oppure del Fondo Italiano di Investimento». Quest'ultimo però – obiettiamo – ha una missione diversa, investire in quote di minoranza di aziende. «Vero – replica Mulatero – ma in fondo l'obiettivo è analogo: dare un sostegno al sistema delle Pmi. Sto iniziando a portare avanti questa proposta, l'ho già anticipata ai vertici del fondo e la discussione è avviata».
Per i Consorzi Fidi, che venerdì e sabato a Torino si riuniranno per la consulta dei presidenti, l'altro nodo è la polverizzazione: in 10 anni il numero delle strutture Federconfidi si è ridotto del 44% ma l'assetto attuale è tutt'altro che soddisfacente. «Dai 47 nostri confidi esistenti (ma l'intero sistema italiano ne conta 451, ndr) credo si debba arrivare ad un assetto con non più di una trentina di strutture. Il primo passo potrebbe essere la messa in comune dei servizi e l'integrazione di alcune attività, per poi arrivare in un secondo tempo alla fusione vera e propria. Teniamo conto che i confidi vigilati da Bankitalia devono sostenere oneri e procedure prima non presenti, dunque il costo della struttura diventa sempre più pesante e va ammortizzato con dimensioni adeguate». Un tema correlato è quello delle numerosità delle convenzioni con le banche. Se ne contano in Italia ben 959. «Troppe – osserva Mulatero – sarebbe utile almeno avere pochi schemi standard, definiti dalla federazione, su cui poi ciascun consorzio possa negoziare condizioni ulteriori, ma lavorando già su una base solida e ben strutturata, che non costringa ogni volta a rifare i contratti da zero». I fondi di garanzia del sistema arrivavano a fine 2010 a 812 milioni, con affidamenti in essere per oltre 14 miliardi. L'effetto leva, cioè il rapporto tra affidamenti garantiti in essere e fondi di garanzia è a quota 17,4, il massimo storico. «Ormai siamo al limite – spiega Mulatero –, ed è questo il motivo per cui occorre un intervento rapido sul sistema. C'è il problema della ricapitalizzazione ma anche quello delle risorse del fondo centrale di garanzia, ridotte in modo significativo per il 2012. Tocca alle istituzioni ma anche a noi, cercando di agire per fare squadra insieme a Confindustria e portare a casa qualche risultato in più. Non per i consorzi, ma per il sistema delle imprese italiane».
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