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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2011 alle ore 08:18.

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ROMA. Fatta la riforma delle pensioni si dovrà mettere mano alla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche di contrasto alla povertà. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, alla sua prima uscita europea non lo dice in questi termini diretti ma fa un riferimento che più esplicito non poteva essere: il reddito minimo garantito «rappresenta una direzione – ha spiegato – verso la quale il governo lavorerà», inserendola in un pacchetto più ampio ancora da congegnare. Il ministro ha inoltre specificato che si tratta delle sue «preferenze personali e non del programma del governo».

Oltre all'Italia, nell'Unione europea solo la Grecia non è dotata di uno strumento di questo genere che, a seconda delle tante versioni possibili, può essere concepito come forma di integrazione al reddito dei lavoratori non protetti dagli attuali ammortizzatori sociali (i collaboratori e i parasubordinati) oppure come un'imposta negativa (cioè una erogazione a carico dell'Erario) a favore di chi si trovi in situazione di povertà. Un terreno, quest'ultimo, che nulla ha a che vedere con il mercato del lavoro e le sue regole e che potrebbe realizzarsi, per fare un solo esempio su cui si sono accumulate diverse proposte di legge, in un « reddito di cittadinanza» per i giovani da 0 a 16 anni e per gli anziani over 65.

Sul fronte del mercato del lavoro, invece, il ministro ha fatto riferimento a un progetto di «flessibilità buona» capace di ridare opportunità di impiego ai giovani e alla donne, le figure più escluse e che sono alla base del drammatico dualismo tra Nord e Sud fotografato dai tassi di occupazione o di partecipazione attiva al lavoro. Anche in questi caso nessun particolare in più è stato concesso ma basta ricordare che è lo stesso richiamo fatto dal presidente del Consiglio, Mario Monti, nel suo discorso di insediamento alla Camera. Il progetto sul tavolo cui tutti guardano è quello della flexsecurity del senatore Piero Ichino e che punta all'introduzione di un sistema contratto a tempo indeterminato per tutti i neo-assunti ai quali saranno garantite le piene tutele solo contro i licenziamenti discriminatori e non più quelli motivati da crisi economica o riorganizzazione produttiva (di fatto il superamento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori).

Le indicazioni del ministro Fornero sul «reddito minimo garantito» è stata accolta molto positivamente dal Pd (Livia Turco) e dal leader del Sel, Nichi Vendola. E positivi sono anche i giudizi di economisti del lavoro che sul tema hanno elaborato proposte e analisi anche molto diverse. Per Carlo Dell'Aringa, dell'università Cattolica di Milano, il ministro Fornero pensa soprattutto a una misura «legata al lavoro», da riconquistare (in caso di licenziamento) o di sostegno ai disoccupati di lungo periodo per i quali cioè sono scaduti tutti i sussidi previsti dalle norme attuali. «Anche in Europa del resto - ha aggiunto Dell'Aringa - il reddito minimo garantito si configura di più come una forma di protezione sociale a tutela delle persone non protette dagli ammortizzatori sociali e non come un indistinto reddito di cittadinanza».

Sulle caratteristiche che dovrebbe avere il «reddito minimo garantito» non ha dubbi Tito Boeri, della Bocconi di Milano, uno dei principali fautori dell'introduzione in Italia di questa misura «che serve a proteggere dalla povertà estrema». «Bisognerà considerare sia le fonti di reddito che i patrimoni posseduti dal beneficiario - spiega Boeri - per evitare un uso improprio del sussidio». Quanto all'entità della misura invece, per Boeri, non dovrà superare una certa soglia (per la minima esistenza): «Fatta 100 questa soglia e possedendo già 60 il beneficiario, il contributo statale dovrebbe coprire la differenza».

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