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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 18:20.

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BERKELEY – Attraverso una tortuosa catena su internet – Paul Krugman dell’Università di Princeton ha citato Mark Thoma dell’Università dell’Oregon che ha letto il Journal of Economic Perspectives – mi è capitata tra le mani una copia di un articolo scritto da Emmanuel Saez (il cui ufficio si trova a 15 metri dal mio, sullo stesso corridoio) e dall’economista e premio Nobel Peter Diamond. Saez e Diamond sostengono che per le aziende del Nord Atlantico la giusta aliquota fiscale marginale da imporre ai cittadini più ricchi è 70%.

È un’affermazione notevole, tenuto conto della smania per i tagli fiscali che prevale in queste aziende da 30 anni, ma la logica di Diamond e Saez è chiara. I superricchi comandano e controllano così tante risorse da esserne effettivamente sazi: aumentare o diminuire la quantità di ricchezza in loro possesso non incide in alcun modo sulla loro felicità. Non importa quanto peso mettiamo sulla loro felicità rispetto alla felicità altrui – sia che li consideriamo encomiabili capitani dell’industria meritevoli delle loro alte posizioni o ladri parassiti – non possiamo fare assolutamente nulla per influire sulla felicità aumentando o abbassando le loro aliquote fiscali.

Detto questo, quando calcoliamo l’aliquota fiscale da imporre ai superricchi, non dovremmo considerare l’effetto di un’eventuale modifica dell’aliquota fiscale sulla loro felicità, perché sappiamo che è pari a zero; dovremmo invece tenere conto dell’effetto che un tale cambio potrebbe avere sul benessere di tutti noi.

Da questa semplice catena di logica segue la conclusione che abbiamo l’obbligo morale di tassare i nostri superricchi all’apice della Curva di Laffer: tassarli così pesantemente da riscuotere più denaro possibile – a un punto tale che il dispendio di energia e iniziativa da loro speso per eludere e sfuggire al fisco si tradurrebbe con ulteriori tasse in una riduzione e non in un aumento delle entrate.

La logica economica funzionale è chiara. Eppure oltre la metà di noi non è molto propensa ad abbracciare le conclusioni addotte da Diamond e Saez. Pensiamo vi sia qualcosa di errato nello spremere come limoni i superricchi. E lo pensiamo per due motivi, entrambi addotti oltre due secoli fa da Adam Smith – non in una delle sue opere più famose, Il benessere delle nazioni, bensì in un libro decisamente meno noto La teoria dei sentimenti morali.

La prima ragione è applicabile ai ricchi oziosi. Secondo Smith,

Una persona estranea alla natura umana, che ha visto l’indifferenza degli uomini sulla miseria dei loro inferiori, e il rimorso e l’indignazione che provano per le sventure e le sofferenze di quelli al di sopra di loro, sarebbe propensa a immaginare che il dolore deve essere più agonizzante, e le convulsioni della morte più terribili per le persone di rango superiore rispetto a quelle delle stazioni intermedie...

Noi lo pensiamo, Smith ne è convinto, perché simpatizziamo per natura con gli altri (se scrivesse oggi, invocherebbe sicuramente neutroni specchio). E più sono piacevoli i nostri pensieri sui singoli e sui gruppi, più tendiamo a simpatizzare con loro. Il fatto che gli stili di vita dei ricchi e famosi sembrino quasi un’idea astratta di uno stato perfetto e felice ci porta a sostenere che pena…se qualcosa dovesse rovinare e corrompere una situazione così gradevole! Potremmo persino augurar loro l’immortalità...

La seconda ragione fa riferimento ai ricchi che lavorano sodo, il tipo di persona che

si dedica tutta la vita alla ricerca della ricchezza e della grandezza....Con la più inesorabile industria lavora giorno e notte....serve coloro che odia, ed è ossequioso nei confronti di chi disprezza....[I]Negli ultimi giorni della sua vita, il suo corpo provato dal lavoro e dalle malattie, la sua mente irritata e turbata dalla memoria di migliaia di ferite e delusioni ...inizia alla fine a pensare che ricchezza e grandezza siano meri ninnoli di frivola utilità....Potere e ricchezze....tenete lontana la pioggia estiva, non la tempesta invernale, ma lasciatelo quanto più possibile esposto ad ansia, paura e dolore; malattia, pericolo e morte...

In breve, da un lato non desideriamo scombussolare la felicità perfetta degli stili di vita dei ricchi e famosi; dall’altro non desideriamo aggiungere ulteriore peso a coloro che hanno speso i loro possedimenti più preziosi – tempo ed energia – a perseguire ninnoli. Queste due argomentazioni sono in contrasto, ma non importa. Entrambe hanno fatto presa sui nostri pensieri.

Diversamente dagli odierni economisti esperti di finanza pubblica, Smith capì che non siamo calcolatori razionali e pratici. È per questo motivo che finora abbiamo fatto collettivamente un pessimo lavoro sul fronte della enorme disuguaglianza tra classe media industriale e superricchi plutocratici a cui abbiamo assistito nell’ultima generazione.

J. Bradford DeLong, ex vicesegretario al Tesoro americano, è professore di economia presso l’Università della Californiana a Berkeley e ricercatore associato al National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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