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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2011 alle ore 16:56.

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Ogni anno Great place to work institute Italia inserisce nella ricerca un tema specifico, che costituisce, in qualche modo, il fil rouge: nel 2011 è stato il work-life balance, l'equilibrio tra vita lavorativa e privata che, non volutamente, è andato ad inserirsi in una situazione sociale ed economica particolarmente critica.

Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito all'affermarsi di un'economia della flessibilità, in termini spaziali, temporali e relazionali, e anche il modo di lavorare è cambiato di conseguenza. L'introduzione delle nuove tecnologie, la caduta dei tradizionali confini geografici e di settore, il passaggio dalle logiche di prodotto a quelle di servizio, il crescente numero di donne lavoratrici e l'invecchiamento della popolazione al lavoro hanno reso sempre più cruciale per le aziende il tema del work-life balance. A questo quadro generale si aggiunge - soprattutto negli ultimi anni - l'instabilità del contesto lavorativo, che richiede ai dipendenti livelli crescenti di impegno, sia in termini di quantità di lavoro che di coinvolgimento emotivo e cognitivo. È uno dei motivi per cui i collaboratori avvertono sempre di più la difficoltà di gestire il proprio tempo senza sacrificare il lavoro, gli impegni personali e la vita familiare. Per rispondere a queste esigenze, le aziende eccellenti hanno sviluppato negli anni una varietà di sistemi e programmi per creare ambienti capaci di dare risposte ai bisogni dei collaboratori e delle loro famiglie.

Una ricerca di Patrick Dixon, uno dei maggiori pensatori nel campo della consulenza aziendale, definisce il work-life balance come il segreto dei team ad alte performance, sulla base di alcune evidenze. Innanzi tutto è tra le priorità dei diplomati delle business school, i quali desiderano una carriera di successo, ma intendono anche dedicare il giusto tempo alla propria vita privata; in secondo luogo, anche durante una fase economica di recessione, il work-life balance rimane tra gli obiettivi dei collaboratori, nonostante tutti siano portati a sacrificarsi di più per mantenere il posto di lavoro; infine - ed è forse la riflessione meno immediata - la ricerca di un equilibrio tra vita privata e lavoro risulta essere legata alla ricerca di un significato: il 60% dei giovani inglesi tra i 25 e i 35 anni afferma di cercare un significato più alto nel proprio lavoro, più sono appassionati dal lavoro che fanno e meno si preoccupano del work-life balance. Questa ricerca di significato è parte del ripensamento della vita in generale: il work-life balance riguarda la sostenibilità, la sopravvivenza, il valore della vita.

In quest'ottica, le iniziative pensate dalle aziende per i loro collaboratori non devono avere come unico o principale obiettivo quello di far risparmiare tempo alle persone o di aiutarle a staccare dal lavoro. Oggi le aziende devono innanzitutto capire quali sono i problemi personali dei collaboratori, come incidono su loro lavoro e come il lavoro stesso si inserisce all'interno della vita dei dipendenti. Non bastano semplici politiche, bisogna plasmare una cultura aziendale in cui si affrontino insieme le problematiche del rapporto tra lavoro e vita personale.
Riguardo alla cultura del work-life balance, va però sottolineato come l'Italia, se paragonata alla media europea, abbia ancora molta strada da fare.

Sono proprio i collaboratori delle migliori aziende a far emergere questo gap: la percezione dei dipendenti delle 35 "best" italiane, sul tema del work-life balance, è costantemente e nettamente inferiore rispetto a quella espressa dai colleghi delle cento "best" europee.

Le aziende italiane spesso cercano soluzioni per rendere più facile la vita dei collaboratori e per far risparmiare loro tempo piuttosto che creare una cultura diffusa che punti a comprendere come le problematiche della vita quotidiana influenzino il lavoro e viceversa. Anche in relazione alle possibili modalità di gestione del tempo lavorativo, le aziende italiane ricorrono perlopiù all'orario flessibile. Forme alternative, come il job sharing o il telelavoro, sono ancora poco usate.

Un ruolo fondamentale nella creazione di una nuova cultura di conciliazione tra lavoro e vita privata è quello del management. La presenza di uno sponsor, interno all'azienda, che spinga per una concezione del lavoro qualitativamente diversa è la condizione base per un autentico cambiamento.

È però significativo vedere come stia aumentando il numero delle aziende che in maniera determinata perseguono l'obiettivo di dar vita a una cultura di management che favorisca il work-life balance, introducendo non solo pratiche di organizzazione del lavoro che facilitano la presenza di modalità flessibili, ma anche processi di management che impediscano il presentarsi di situazioni che ostacolano una ricerca di tale equilibrio (ad esempio: non fare riunioni in orari che rendano altamente probabile prolungamenti di orario, non prevedere - di base - spostamenti per lavoro in giornate festive). Ed è quest'ultimo punto a rivestire una rilevanza significativa per il perseguimento dell'obiettivo di bilanciamento: la cultura del management che sia orientata in maniera concreta a non richiedere attività e comportamenti che possono generare extra lavoro.

(R.Sp.)

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