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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2011 alle ore 06:42.

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Se una griffe del lusso dovesse perdere pezzi della sua rete di fornitori e subfornitori, selezionata e consolidata negli anni, rischierebbe un danno enorme. Stessa cosa succederebbe se all'interno della filiera produttiva in outsourcing emergessero incongruenze o addirittura illegalità, come il ricorso al lavoro nero o la contraffazione. È per scongiurare queste eventualità che un player mondiale come Gucci ha deciso di giocare d'anticipo e, in nome della sostenibilità economica e sociale, ha spinto i propri fornitori strategici del comparto pelletteria (che vale il 58% del business del marchio) ad allearsi per migliorare la competitività.

Il risultato sono tre reti d'imprese, nate col supporto di Confindustria Firenze e formate in tutto da 24 Pmi fornitrici di primo e secondo livello del brand della doppia "G", che nel complesso fatturano 76 milioni e impiegano 635 persone e che ora si impegnano contrattualmente a collaborare su terreni come l'efficienza produttiva, l'innovazione tecnologica e organizzativa, gli standard di qualità e sicurezza. Gucci fungerà da sponsor delle reti, in pratica un facilitatore che indirizza, scambia buone prassi, fornisce consulenza in campo organizzativo, tecnologico, formativo e finanziario (per rendere più agevole l'accesso al credito). «Non possiamo permetterci che eccellenze della filiera della pelletteria vadano disperse», spiega Micaela Le Divelec Lemmi, executive vice president di Gucci, riferendosi in particolare all'area fiorentina dove l'azienda conta 60 fornitori di primo livello e decine di subfornitori, che nel complesso impiegano settemila lavoratori (sui 45mila che in Italia alimentano l'intera filiera produttiva di Gucci). In quest'ottica, uno degli obiettivi delle reti d'imprese «sarà la trasparenza nel flusso della marginalità all'interno della filiera, in modo che tutti i partecipanti abbiano un giusto apporto», aggiunge Karlheinz Hofer, direttore Operations e supply chain di Gucci.

In sostanza, sapere esattamente quanto guadagna ciascuno degli anelli della filiera produttiva servirà a scongiurare situazioni di crisi dei singoli e anche fenomeni di subfornitura a bassa remunerazione. Sugli aspetti di eticità della filiera, per la verità, Gucci sta lavorando da tempo – è una delle poche aziende del lusso che ha la certificazione di responsabilità sociale Sa8000 per pelletteria, gioielli, scarpe e abbigliamento – anche con un innovativo patto di filiera per le buone pratiche e la sostenibilità economica della filiera promosso nel 2009 con Confindustria, Cna e sindacati fiorentini. È proprio da quel patto, spiega la vicepresidente Le Divelec Lemmi, che sono scaturiti i tre contratti di rete stipulati in questi giorni (battezzati P.re.Gi, Almax e Fair) applauditi dal presidente di Confindustria Firenze, Simone Bettini: «Attraverso queste reti Gucci trasferisce al nostro territorio la cultura di una multinazionale, e dunque dà un apporto fondamentale alla crescita, e per questo dobbiamo essergliene grati».

Soddisfazione anche da Aldo Bonomi, vicepresidente di Confindustria e presidente di RetImpresa: «Le imprese pellettiere della filiera Gucci hanno dato vita alle prime reti strutturali del made in Italy; è proprio puntando su lavorazioni uniche e di assoluta autenticità che possiamo ridare slancio alla nostra economia».

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