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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2011 alle ore 06:41.

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MILANO.
Crollano gli ordinativi, calano i fatturati, i margini si riducono e anche l'occupazione mostra segnali di cedimento sempre più marcati. Nell'Information & Communication Technology la crisi morde e le prospettive per il futuro non sono rassicuranti.
Le 129mila imprese attive nel comparto non riescono a crescere, e a subirne le maggiori conseguenze è il mercato del lavoro, che si contrae come mai aveva fatto nel passato e si trasforma sia per quanto riguarda gli aspetti contrattuali sia per quelli retributivi.
Secondo l'Osservatorio di Assintel, che ha fatto una radiografia completa dell'occupazione del settore, nel corso dell'ultimo anno il numero delle assunzioni nel nostro Paese è calato dello 0,2% rispetto al 2010 ma è cresciuto in maniera esponenziale il numero di lavoratori atipici e quello di professionisti a partita Iva: a fronte di oltre 600mila occupati, il 22 per cento ha contratti non strutturati mentre un quarto (che significa poco meno di 154mila addetti, +3% su base annua) è composto da autonomi che lavorano però in via esclusiva per un unico committente.
Trend che, sostiene l'analisi portata avanti dall'associazione delle imprese dell'Ict, è il frutto di una «compensazione impropria del deflusso occupazionale del lavoro dipendente innescato dalla crisi».
E questa tendenza si riflette anche sulle retribuzioni dei dipendenti e sulle tariffe delle prestazioni offerte.
Gli stipendi sono cresciuti meno dell'inflazione (con un differenziale negativo di due punti) e nell'arco di tre anni i servizi si sono deprezzati di oltre il dieci per cento.
«Il taglio dei costi come strategia di sopravvivenza - dice Giorgio Rapari, presidente di Assintel - è la tentazione più pericolosa per le aziende tecnologiche perché sviluppo, formazione e innovazione dei talenti sono la garanzia del loro esistere sul mercato. Per rilanciare il comparto servono quindi misure che incentivino lo sviluppo di questi cervelli, anche introducendo lo strumento del voucher formativo per la piccola impresa e forme flessibili di valorizzazione delle competenze e dei meriti».
Nonostante le difficoltà, il settore continua infatti ad attirare l'interesse dei giovani: l'Ict, spiega un sondaggio condotto da GiGroup su 2.000 neolaureati, è percepito ancora in maniera positiva da parte di quanti sono in cerca di un impiego: la percentuale di under 35 interessata a lavorare nel comparto è in aumento, soprattutto tra gli ingegneri, anche se gli stipendi sono inferiori di circa il 5,5% rispetto a quelli delle altre professioni nel primo biennio d'impiego e del 6,9% nei successivi 3-5 anni di anzianità.
L'Osservatorio di Assintel calcola inoltre che un «impiegato medio del settore Ict ha una retribuzione annua lorda di 26.963 euro, che cresce solo dell'1% rispetto al 2010, contro un tasso di crescita dell'inflazione del 2,8%.
Un divario che si accentua per i quadri (50.286 euro, crescita del +0,3%) ed è massimo per i dirigenti (91.754 euro, decrescita del -0,3%)».
Sempre sul versante retribuzioni lo studio rivela infine che è in aumento la forbice tra Nord e Sud: nelle regioni meridionali gli stipendi sono inferiori di circa il 18 per cento, mentre guadagna di più chi lavora in aziende di grandi dimensioni.
E sono proprio queste ultime quelle che più investono in innovazione e in formazione in un comparto in cui addirittura il 33% delle imprese che hanno meno di 50 addetti non ha alcun piano di aggiornamento e formazione strutturata della forza lavoro impiegata.
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