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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2011 alle ore 08:15.

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ROMA
Il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, è stato categorico. «Sulle energie rinnovabili in agricoltura – ha detto – serve una immediata inversione di tendenza, distinguendo tra le iniziative buone e quelle che non lo sono». E nel mirino è finito il fotovoltaico. «Sottrae – ha spiegato Catania – superfici destinate a produrre beni alimentari e ha una ricaduta negativa sugli affitti». Il ministro ha annunciato che affronterà a breve la questione con il collega dell'Ambiente, Corrado Clini, ma la linea è segnata: «stop agli incentivi».
Il «land grabbing» in Italia, infatti, rischiano dunque di farlo i pannelli solari che stanno erodendo terreni agricoli e cambiando in alcune zone l'aspetto del paesaggio rurale. In Puglia la febbre da pannelli solari è alta da tempo. E secondo i dati 2010 diffusi dal Gse sono oltre 14mila gli ettari occupati dai soli impianti, ma superfici importanti sono state “occupate” in Emilia Romagna e nel Lazio. Complessivamente in Italia 33mila ettari coltivabili hanno cambiato destinazione. Numeri che dopo l'exploit del 2011 vanno rivisti al rialzo. Una situazione di allarme rosso. La stessa che si registra nella pianura Padana per i mega impianti a biogas slegati dagli allevamenti.
L'effetto di questa esplosione di agroenergie, che di «agro» hanno poco, è anche l'impennata dei costi degli affitti. In Puglia, in particolare, gli operatori del fotovoltaico sono arrivati con soldi cash e molti coltivatori «delusi» dall'andamento delle produzioni (il grano in questi ultimi anni è stato sull'ottovolante) hanno ceduto alle sirene, complice anche la disponibilità delle amministrazioni. E nei periodi d'oro, fino alla metà del 2010, sono stati pagati fino a 6mila euro all'ettaro per i diritti di superficie.
Francesco Ciancaleoni dell' Area Ambiente e Territorio della Coldiretti ribadisce che la corsa al fotovoltaico, che ha portato l'Italia ai vertici in Europa per numero di impianti, l'hanno fatta quasi esclusivamente gli operatori extra agricoli. Secondo Ciancaleoni a questo punto però «i guasti sono stati già fatti e il suolo perso non si riconquista più». L'unica soluzione è di puntare, così come prevede il decreto di attuazione della direttiva europea sulle agroenergie, a individuare e dichiarare le aree non idonee. Un compito affidato alle Regioni, ma che nel caso di inadempienza, può svolgere lo Stato. Secondo la Coldiretti gli agricoltori hanno difficoltà a realizzare progetti: «La banca non ti finanzia, per fare un impianto devi ipotecare la casa. Se l'agricoltore deve investire 25mila euro acquista un trattore, non i pannelli».
Marino Berton presidente di Aiel-Cia, non demonizza il fotovoltaico , ma a condizione che ci siano dei paletti invalicabili. «Ci sono spazi interessanti sui tetti delle stalle, sui magazzini e nelle aree degradate». Certo anche per Berton il tasto toccato dal ministro è reale. «Sono avvenute – spiega– grandi speculazioni, c'è stata una commercializzazione delle autorizzazioni, ed è scesa in campo anche la malavita. Il problema c'è stato ma oggi il decreto 28 che ha recepito la nuova direttiva Ue ha messo un freno importante».
Per Confagricoltura la partita si gioca tutta sulla programmazione. L'organizzazione guidata da Mario Guidi è favorevole al fotovoltaico «buono» realizzato sui tetti o sui terreni abbandonati e soprattutto integrato in azienda. «Un'azienda di 500 ettari che ne impegna 2 a pannelli solari va benissimo, certo se la metà dei terreni è utilizzata a fotovoltaico la situazione è assolutamente negativa». I guasti? «Ci sono stati, ma sono legati solo alla mancanza di governance».
Per Confagricoltura dunque gli incentivi che il decreto ministeriale ha previsto fino al 2016 non vanno toccati. Anzi, secondo l'organizzazione, il fotovoltaico può servire anche a recuperare aree abbandonate.
«Zero fotovoltaico sui terreni agricoli» è invece la linea di Agroenergie Italia, consorzio di Copagri. «In Puglia – afferma il presidente Filippo Pecora – è stato uno scempio. I terreni vanno destinati alla produzione food, non al fotovoltaico, un business gestito da grandi gruppi finanziari e che sta succhiando tutte le risorse disponibili, rischiando di lasciare a secco le biomasse».
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