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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2012 alle ore 08:03.
Sono brutti i dati dell'Istat di novembre sull'occupazione e la disoccupazione. È ormai un dato di fatto che da questa estate il mercato del lavoro è ri-entrato in crisi. La speranza di uscirne, alimentata dai dati (leggermente positivi) della prima parte dell'anno, è andata delusa.
Da luglio si sono persi circa 150 mila posti di lavoro (dati destagionalizzati) e i livelli occupazionali sono ritornati ai livelli, piuttosto bassi, della prima parte dell'anno. Negli ultimi tre mesi si è impennato il numero di disoccupati: altri 150 mila senza lavoro hanno portato il tasso di disoccupazione all'8,6 per cento. Siamo tornati a livelli record.
Due dati del comunicato Istat sono particolarmente preoccupanti. Il primo riguarda le categorie interessate alla caduta dell'occupazione. Sono le donne, i giovani e i lavoratori del Mezzogiorno. Per la prima volta, in questa lunga crisi, la componente femminile viene duramente colpita. Il Mezzogiorno è allo stremo, non si arresta la emorragia di posti di lavoro: alcuni trovano rifugio nell'agricoltura, unico settore dinamico in quelle regioni. I giovani infine: il tasso di disoccupazione ha passato il 30 per cento. I giovani perdono anche buoni posti di lavoro, quelli stabili (!) a tempo indeterminato e a tempo pieno. I lavori a termine, quelli alle dipendenze (e non quelli "falsi" autonomi) tengono abbastanza bene. La mancanza di lavoro dei giovani non è fatta solo di periodi di disoccupazione tra un lavoro temporaneo e un altro. Più della metà della disoccupazione è di lunga durata.
E questo è il secondo dato grave, drammatico. Sono senza lavoro da più di un anno. E sono molti coloro che aspettano il primo lavoro da quando la crisi è scoppiata, tre anni fa. In questo modo la disoccupazione diventa strutturale, difficile da recuperare, con gravi conseguenze economiche, sociali, umane. Questi sono i dati che si spera saranno attentamente considerati al tavolo del negoziato tra Governo e parti sociali sulla riforma del lavoro. Si tratta di dati che rischiano di peggiorare (se le previsioni sono corrette) e che dovrebbero suggerire a tutti che non c'è più tempo da perdere. Occorrono interventi incisivi a tutto campo. La riforma della legislazione del lavoro può essere solo un pezzo del mosaico da costruire. Non basterà la giusta revisione dei contratti di ingresso e delle flessibilità in uscita, per i quali si deve assolutamente pretendere che un compromesso utile (per i giovani) si trovi in tempi rapidi. Senza ripresa economica non si creano posti di lavoro.
L'economia deve ripartire e questa fase di recessione che ci aspetta deve essere rapidamente chiusa. La gestione del debito pubblico è il nostro tallone di Achille. Ma se ne sta profilando un altro, quello della competitività dei nostri prodotti sui mercati internazionali. Abbiamo perso competitività e il problema di ridurre i costi dei fattori produttivi (compreso il costo del lavoro) per unità di prodotto, è diventata una assoluta priorità. Sarà bene che si parli anche di questo al tavolo del negoziato.
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