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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2012 alle ore 19:38.

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DETROIT - Fiat e Chrysler potrebbero aver bisogno di un altro partner, europeo o asiatico. Lo ha detto al Salone di Detroit Sergio Marchionne, numero uno di entrambe le aziende, spiegando che «il partner dovrà condividere i nostri sforzi industriali e i costi di sviluppo dei nuovi modelli». Il manager italo-canadese ha però precisato che non ci sono al momento in corso colloqui specifici, ma ha legato la sua previsione all'opinione che «in Europa, e più in generale a livello mondiale, c'è ancora bisogno di un consolidamento nel settore auto. Abbiamo due o tre gruppi in grado di arrivare a 8-10 milioni di veture prodotte, bisogna che ne nasca un altro».

Marchionne ha ammesso che l'obiettivo di 5,9-6 milioni di vetture per Fiat-Chrysler nel 2014 verrà mancato di almeno 2/300mila unità a causa principalmente della congiuntura negativa in Europa: «Se il mercato europeo continuerà su questa strada, a Fiat mancheranno almeno 4/500mila unità rispetto agli obiettivi fissati nel 2010; potremmo recuperarne solo una parte in Brasile e qui con Chrysler in America».

Marchionne ha detto che Chrysler ha consegnato nel 2011 appena più di 2 milioni di veicoli (2,009 milioni, per la precisione), in linea con gli obiettivi. Nel 2012 l'azienda «potrebbe guadagnare ancora quote di mercato negli Usa, grazie al lancio della Dodge Dart in un segmento in cui non eravamo di fatto presenti». Quanto alla 500 rimasta nettamente al di sotto delle stime, ha ammesso che «ci eravamo sbagliati prevedendo di poterne vendere 50mila l'anno in Nordamerica» e ha detto che il target 2012 è di 25-35mila unità. Sul fronte dei prodotti, una novità importante riguarda l'Asia: la Dodge che verrà prodotta dalla fine di quest'anno in Cina potrebbe essere esportata anche in Europa.

Marchionne è anche tornato sul tema della sede del futuro gruppo dopo la fusione, che aveva toccato in due interviste dei giorni scorsi. A una domanda sulla possibile perdita di posti di lavoro a Torino, incaso di trasferimento della sede negli Usa, ha risposto: «Mettiamo che preserviamo quei posti di lavoro...»; ma all'osservazione che così Torino perderebbe comunque il cuore del gruppo, ha ribattuto: «Ma se il cuore non ha funzionato granché e io ne trovo uno migliore, che facciamo?».

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