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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2012 alle ore 13:49.

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Un mastro vetraio al lavoro in un laboratorio di MuranoUn mastro vetraio al lavoro in un laboratorio di Murano

Il male di Murano ha le sue origini in un momento storico preciso, in una scelta sbagliata. E cioè da quando ha smesso di puntare sulle sue leve strategiche peculiari – creatività e design, alta specializzazione, originalità e solido rapporto con le maestranze – per competere su un terreno diverso: quello del low-cost. Tanto che per un visitatore è possibile, proprio sull'isola, acquistare un oggetto di produzione cinese senza nemmeno rendersene conto.

E oggi si cercano le vie per il rilancio. I segnali di difficoltà sono tanti, a partire da una popolazione in continuo calo (meno 5,5% in cinque anni). È una crisi strutturale. Nel gennaio 2001 - secondo il rapporto Cgil - le aziende insediate risultavano circa 200 fra industria e artigianato, con 2mila lavoratori, e già si parlava di «poche realtà rimaste», a paragone dei 5mila addetti degli anni Sessanta, e di «pericoloso periodo di crisi». Oggi non superano il migliaio.

«Una crisi iniziata vent'anni fa», ricorda Daniele Mazzuccato, dell'omonima vetreria. «Quando ho iniziato, nel 1982, ero il più giovane imprenditore e lo sono praticamente ancora: non c'è ricambio. La verità è che non siamo nulla rispetto a distretti da migliaia di addetti, e quindi anche politicamente non contiamo nulla. Il lavoro che resiste è con Paesi che ancora hanno il culto della bella casa, degli oggetti preziosi: il Medio Oriente, ad esempio. Mi hanno anche offerto di aprire un'azienda a Teheran».

È una guerra fatta sui prezzi e sui costi. Quello del gas, in continua ascesa, ma anche i rigidissimi vincoli ambientali necessari a tutelare la laguna pesano sui bilanci: «L'acqua che bevo - prosegue Mazzuccato, aprendo il lavandino - è meno pura di quella che rimane dopo la lavorazione del vetro e la depurazione. Così c'è chi si trasferisce in terraferma, nel Veneziano o nel Trevigiano, dove i parametri sono già meno penalizzanti. E poi i trasporti, la nebbia che paralizza tutto».

Le sfide sono tante: «Occorre portare efficienza in una produzione che non può più permettersi di sbagliare una mossa, e gestire la questione ambientale senza esserne schiacciati - osserva Gianluca Seguso, amministratore delegato di Seguso & Seguso – e le difficoltà di oggi vengono da lontano, di positivo c'è l'interesse mostrato dalle istituzioni». Come il "Progetto Murano" della Giunta Orsoni, che è stato presentato in ottobre e che prevede fra l'altro politiche di accesso alla casa e offerta di edilizia residenziale pubblica, oltre al rilancio produttivo.

Intanto, il 6 dicembre scorso la Filctem Cgil ha proclamato uno sciopero – il primo - per le aziende del vetro: l'adesione è stata del 70 per cento. E la Cisl ha avviato un confronto che mira fra l'altro a far riconoscere Murano come patrimonio artistico da salvare da parte dell'Unesco (Onu). «È necessario che Regione, Provincia e Comune attivino un tavolo a tutela delle attività produttive - spiega il segretario Riccardo Colletti, segretario Filcea Cgil - Mentre noi discutiamo del futuro, si parla di autorizzare il cambiamento di spazi destinati alla cantieristica sull'Isola della Giudecca in attività commerciali per la vendita del vetro. Operazioni del genere servono solo a snaturare l'attività e il prestigio della produzione». Oltre ai molti show room che stanno prendendo il posto della produzione, la paura che si respira fra gli addetti ai lavori è vedere le antiche fornaci trasformate in alberghi, in una svolta sempre più turistica e sempre meno produttiva dell'isola.

Un anno fa era stata lanciata la proposta, provocatoria, di delocalizzare l'intera produzione negli spazi ormai vuoti di Porto Marghera per abbattere i costi altissimi dell'isola: «Non è fattibile – constata Diego Ferro, presidente della sezione Vetro di Confindustria Venezia, che sull'isola ha aperto una nuova fornace un anno fa – A parte l'aspetto tecnico, rischieremmo di perdere un'identità di mille anni, legittimando altri produttori, nel Veneto ma perché no anche a Milano, a farci concorrenza».

Ma c'è ancora chi parla del vetro come di un miracolo: «Abbiamo 20mila tonalità di colore e ogni produttore ha le sue caratteristiche, le sue tinte - spiega Giorgio Giuman, di Linea Arianna, che realizza anche le opere di artisti contemporanei e a Medjugorije ha inviato un Cristo alto 3 metri e mezzo - La colpa di Murano è stata dare spazio al commercio, 10 o 15 anni fa. Gli americani rifiutano il cristallo fatto con il piombo per dare lucentezza, ma io ho fatto analizzare a mie spese vetro cinese, magari tinto, hanno trovato bismuto e altri veleni. Ma se si fa una questione di prezzo su oggetti piccoli, è chiaro che il vetro artistico come si fa qui non può competere. Le capacità ci sono, ma le aziende vanno aiutate, con gli sgravi».

Un tempo, racconta ancora il sindacalista Colletti, «l'ufficio di collocamento era la trattoria ai Frati, qui gli imprenditori si rubavano i maestri migliori, ma anche si scambiavano il personale per far fronte a commesse impegnative. Purtroppo progetti come quello di un consorzio per abbattere il costo delle materie prime non è mai decollato per la difficoltà di far squadra fra gli operatori, gelosi dei propri affari e anche della possibilità di far conoscere all'esterno perfino la quantità di sabbia acquistata».

Nemmeno il marchio Murano, introdotto dalla Regione nel 1996, è riuscito ad arginare la crisi. E ora – è il caso della vetreria Linea Murano Art - si studiano le potenzialità delle etichette a radiofrequenza (Rfid) per proteggersi dalla contraffazione. Fra le possibilità di svolta, la più innovativa viene forse dalla finanza. Luigi Monti, ex manager di aziende quali Fiat e Ferrero e oggi presidente e amministratore delegato di Formia, un centinaio di addetti e in portafoglio le linee casa di molti marchi della moda, spiega così l'ingresso del fondo brasiliano gestito da André Bruere in azienda. «Fin dall'inizio il mio obiettivo è stato realizzare il primo passo verso un polo del vetro: qui tutto costa il 30% in più rispetto ad altri territori, se non si realizzano sinergie si rischia di compromettere il settore. E non si può certo risparmiare sulla manodopera, sui maestri vetrai. Dopo la ristrutturazione di Formia, ora l'ingresso di capitali nuovi può darci una prospettiva, visto che chiedere alle banche uno sforzo in questo momento non è possibile».

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