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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2012 alle ore 06:43.

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MILANO
Il Fondo italiano di investimento è pronto ad aprirsi alle start-up. Venerdì prossimo l'amministratore delegato, Gabriele Cappellini, presenterà alla Banca d'Italia le modifice regolamentari già adottate dal cda che consentono di investire in fondi di venture capital. «In questo primo anno - ha spiegato il presidente del Fondo Italiano (Fii), Marco Vitale, in una conversazione con Il Sole 24 Ore in cui fa il punto sui primi 12 mesi di effettiva operatività del private equity promosso nel 2010 dal ministero del Tesoro - abbiamo dovuto rinunciare a proposte di investimento in star-up molto interessanti. Ci siamo resi conto che nel Paese c'è un dinamismo nell'avvio di nuove imprese che dieci anni fa non c'era». L'impegno del Fii su questo fronte non andrà oltre i 50 milioni di euro, poca cosa rispetto al miliardo e duecento milioni di dotazione iniziale. Ma è un segnale importante di come questo strumento - su cui l'ex ministro Giulio Tremonti aveva puntato molto - si stia rapidamente adattando alla domanda di "nuova finanza" che arriva dalle imprese.
Vitale e Cappellini hanno davanti la relazione, ancora strettamente confidenziale, sul 2011, l'anno in cui il Fondo è andato a regime, dopo un 2010 speso per le operazioni costitutive e preparatorie, con attese via via crescenti da parte delle imprese e dell'opinione pubblica e una sovraesposizione mediatica che non ne ha agevolato l'avvio.
Diciotto investimenti diretti realizzati, nove operazioni in fondi di fondi più due già deliberate ma non ancora sottoscritte, per un totale di 417 milioni di euro, pari al 38% de capitale iniziale. «L'obiettivo - spiega Vitale - è di impegnare tutta la dotazione nel giro di tre anni». Una sfida che preoccupa un po' l'amministratore delegato, nonostante la tabella di marcia fissata a marzo dell'anno scorso sia stata più che rispettata.
In ogni caso sono numeri a cui i vertici del Fondo guardano soddisfatti. Ma che non dicono tutto sul lavoro che i 35 dipendenti del fondo hanno fatto. «Le proposte che abbiamo ricevuto per investimenti diretti - spiega Vitale sfogliando la relazione - sono state ben 882. Di queste 603 sono state scartate quasi subito perché non in linea con i nostri obiettivi e la nostra strategia. Ma 147 sono quelle per le quali l'analisi sta andando avanti e in 13 casi siamo già alla due diligence o alla negoziazione. Altre 114 sono sospese in attesa di integrazioni». Un lavoro di selezione non sempre facile, ma che ha messo in luce «un mondo di Pmi determinato, serio, pieno di progetti di crescita», in forte contrasto con il «clima di cupio dissolvi che si respira nel Paese» e che l'economista d'impresa considera «del tutto ingiustificato».
Certo, esistono ancora tanti imprenditori vittime del «familismo» che non vuol dire «impresa familiare» ma «subordinare gli interessi dell'impresa agli obiettivi della famiglia». E questo, secondo Vitale, «è il problema chiave» della piccola e media imprenditoria italiana.
Altro aspetto fortemente positivo che Vitale sottolinea è il profondo mutamento del capitalismo italiano negli ultimi anni e di cui la nascita del Fii è un momento importante, insieme al nuovo ruolo della Cassa depositi e prestiti «che in qualche modo bilancia la stretta creditizia», al Fondo italiano strategico (che però è ancora in fase di decollo) e al fondo F2i per le infrastrutture di Vito Gamberale.
Nell'attività di investimento indiretto, gli investment manager del Fondo hanno dovuto gestire una situazione ancora più complessa. «L'approccio dei fondi è stato molto aggressivo» spiega Vitale. «In molti casi c'era quasi la pretesa di un nostro investimento perché ci percepivano come un soggetto pubblico. Invece siamo un soggetto privato, con scopi di interesse pubblico». Oggi gli investimenti in fondi di fondi ammontano a 230 milioni, il 65% degli impieghi complessivi. «Ma l'obiettivo è di invertire le proporzioni e arrivare a 800 milioni di investimenti diretti e 400 indiretti».
Forte di questo primo bilancio, il Fondo Italiano guarda al futuro e in particolare si ragiona su come trovare nuove risorse finanziarie per migliaia di piccole e medie imprese. «Ci sono soggetti istituzionali che hanno manifestato il loro interesse a venire ad investire in Italia attraverso uno strumento come il Fondo» spiega Vitale. «Siamo ancora ai preliminari, abbiamo ancora due terzi del capitale da impiegare ma fondi sovrani asiatici e mediorientali hanno già fatto le prime mosse». In attesa degli arabi e dei cinesi si guarda alle risorse disponibili in Italia, in particolare ai 150 miliardi di disponibilità di fondi pensione e casse di previdenza. «È molto difficile convincere gli asset manager dei fondi pensione a investire in un fondo di private equity - chiarisce Cappellini - ma può essere vantaggioso perché, per esempio, è anticiclico rispetto al mercato azionario. Le modalità sono tante. Dobbiamo approfondirle. È uno nostro impegno strategico». Mobilitare anche solo lo 0,8% significherebbe raddoppiare la capacità di fuoco del Fondo.
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