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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2012 alle ore 06:43.

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La più grande banca italiana è virtuale: si chiama mafia. Da sola, ogni anno, può contare su una liquidità di 65 miliardi, al netto delle spese per l'acquisto di materie prime, servizi, personale, latitanza e imprevisti, che hanno una propria voce negli accantonamenti di bilancio. Sessantacinque miliardi di utile, solo per avere un termine di paragone, sono circa 25 miliardi in più dell'ultima manovra finanziaria. È il dato nuovo e preoccupante stimato dal XIII Rapporto Sos Impresa di Confesercenti, presentato ieri a Roma. «Temiamo sempre di più - spiega al Sole 24 Ore il presidente Lino Busà – che le imprese in difficoltà possano essere attratte da tanta liquidità e pensare di risolvere così i propri problemi in tempi di crisi. È un aspetto inquietante che deve diventare un punto fermo nell'agenda di ogni Governo».

Del resto il peso della criminalità mafiosa – racket, pizzo ed usura - che incide direttamente sul mondo dell'impresa, da solo sfiora i 100 miliardi (sui complessivi 138 che fattura annualmente la Mafia spa), pari al 7% del Pil nazionale. Una massa enorme di denaro che passa quotidianamente dalle tasche dei commercianti e degli imprenditori a quelle dei mafiosi. Le imprese subiscono 1.300 reati al giorno, quasi una all'ora.

La pressione delle mafie sul mondo dell'impresa è camaleontica: si adatta all'evoluzione (o involuzione) dell'economia ed è in grado di proporre una scala di modelli. Oggi la criminalità organizzata e mafiosa, pur non tralasciando la pratica del pizzo, entra nell'impresa con faccendieri, intermediari, pseudo imprenditori che offrono merci rubate o contraffatte, impongono acquisti. Chiedere il pizzo è diventato, infatti, sempre più pericoloso: aumenta la propensione alla denuncia e alla collaborazione, intensifica l'attività delle Forze dell'ordine. «I clan sono in difficoltà con i pagamenti degli stipendi e allora i picciotti si sono riciclati aprendo partita Iva – spiega Marco Venturi, presidente di Confesercenti – per cui non siamo di fronte solo alle classiche aggressioni della mafia alle imprese, ma a una mafia che si fa impresa».

L'usura è tornata a essere un'emergenza, alimentata da una crisi economica che costringe alla chiusura 50 aziende al giorno e che ha bruciato, nel 2011, 130mila posti di lavoro. A conferma il trend dei fallimenti, che ha subito una forte accelerazione: + 16,6% nel 2008, + 26,6% nel 2009, + 46% nel primo trimestre del 2010. Mentre l'indebitamento medio per impresa è di circa 180mila euro, cresciuto negli ultimi 10 anni del 93%.

Sono oltre 200.000 i commercianti colpiti dall'usura, per un giro d'affari che sfiora 20 miliardi. Milano e il Nord-Est sono le aree più penalizzate, con le banche che tendono a restringere il rubinetto dei finanziamenti e a chiedere rientri immediati dei fidi, mentre i mafiosi sono gli unici a girare con le borse pieni di soldi. «Soldi sporchi, ma spesso gli unici circolanti, cui ci si affida per non vedere fallire e chiudere la propria azienda» ricorda Venturi. E qui il cerchio si chiude.

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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