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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2012 alle ore 17:04.

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Questa è la storia di un paradosso nell'Italia della disoccupazione giovanile che supera il 30% e della cassa integrazione che anche nel 2011 ha sfiorato il miliardo di ore. Oppure è la storia di un errore di comunicazione. Ognuno può leggerla come vuole. La realtà è che la Lascor – un'azienda del gruppo Swatch che produce componenti per l'orologeria in materiale prezioso – ha una produzione che sta crescendo a un ritmo che fa invidia anche ai cinesi: + 50% all'anno. E investe su macchinari e innovazione: 7 milioni di euro nell'ultimo anno e mezzo. E investirà. E assume: 150 persone solo nell'ultimo anno. Ma ha l'esigenza di aumentare produzione e produttività.

Per questo ha chiamato i sindacati per spiegare l'esigenza di lavorare su ciclo continuo e sfruttare al massimo gli impianti. Richiesta accompagnata da un impegno alla stabilizzazione dei precari e dal cosiddetto "gettone continuo". Però alla richiesta di lavorare su un ciclo continuo fatto di «4 giorni di lavoro e 2 di riposo con le maggiorazioni previste dal contratto collettivo nazionale per sabato, domenica e notturni e con in più un "gettone continuo" di 82 euro, a patto di aver lavorato tutte le 32 ore previste e all'impegno alla stabilizzazione dei lavoratori temporanei», come spiega Francesca De Musso della Fiom Cgil, i lavoratori hanno detto no. Per la precisione su 433 votanti i no sono stati 262 e i sì 158.

I primi ad essere rimasti spiazzati dal risultato del voto sono stati i sindacati. De Musso è la prima a fare autocritica e a sottolineare che «i lavoratori della Lascor hanno sempre risposto alle esigenze dell'azienda. Anche se non obbligati hanno lavorato il sabato, la domenica, quindi deve esserci qualcosa che è stato sbagliato. L'accordo bocciato è però una buona base di partenza». Giuseppe Marasco della Fim Cisl aggiunge che «di fronte a un'azienda che ha investito in macchinari e che ha l'esigenza di aumentare produzione e produttività lavorando sul ciclo continuo, o si onora la richiesta o si rischia che la richiesta venga annullata». E con questa anche tutto quello che è legato alla richiesta.

E cioè «un aumento di stipendio che proiettato su una busta paga di un operaio di quinto livello significa 300 euro in più al mese», spiega Marasco, e la «possibilità di stabilizzazione dei lavoratori temporanei e di introdurre nuove regole per la loro assunzione. L'ipotesi di accordo infatti prevedeva che a partire dal 2012 tutti i nuovi assunti avrebbero avuto il contratto Lascor e quindi non sarebbero più stati assunti attraverso le agenzie di lavoro. I contratti temporanei avrebbero avuto un limite di 12 mesi, al termine dei quali o il contratto veniva trasformato a tempo indeterminato o il rapporto di lavoro veniva sciolto. Infine l'ipotesi di accordo prevedeva la stabilizzazione per i contratti a termine in base alle decisioni aziendali. Per tutelare i temporanei era stata anche decisa l'istituzione di una commissione a cui i lavoratori temporanei inseriti nel ciclo continuo si sarebbero potuti rivolgere per dimostrare le loro ragioni in caso di mancata stabilizzazione», dice Marasco.

Si può dire no a un accordo che prevede più lavoro, più soldi, stabilizzazione dei precari? Alla Lascor sembra che sia andata così. E alla maggioranza dei no «in un clima generale come quello che stiamo vivendo sembra difficile poter trovare una giustificazione», osserva Marasco. Che sia il forte benessere dell'area o il messaggio sbagliato che la presentazione della piattaforma ha generato o il piccolo sconvolgimento nell'organizzazione dei week end o uno scontro generazionale in atto, una cosa è certa: questa storia non è finita.

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