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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 09:34.

Il gruppo Psa (Peugeot-Citroen) ha bisogno di una vera alleanza, anche capitalistica? Probabilmente sì. Quella con Fiat potrebbe essere la giusta? Non è detto.
Cominciamo dal primo punto, andando a guardare dentro i conti e l'andamento del costruttore francese. Psa ha sostanzialmente due grossi handicap: il mix prodotto e il mix geografico. Da almeno due anni il nuovo gruppo dirigente, guidato dal presidente e amministratore delegato Philippe Varin, sta cercando di migliorare a tappe forzate questa situazione.
D'un lato con l'innalzamento del livello della gamma, per cercare di produrre vetture a maggior valore aggiunto: nel 2011 la quota di vetture Premium è così salita al 18%, rispetto al 13% del 2010. Ma si tratta di un processo ancora troppo lento. Il 38% delle vendite rimane concentrato su piccole vetture vittime della concorrenza e della battaglia sui prezzi. Basti ricordare che l'anno scorso la Peugeot 207 e la Citroen C3 hanno registrato una flessione rispettivamente del 16 e del 17 per cento.
Dall'altro spingendo sull'internazionalizzazione: la quota di vendite al di fuori dell'Europa, sui mercati in forte crescita, è passata dal 39 al 42 per cento . Ma, pure in questo caso, lo sforzo è insufficiente.
Il cambiamento di pelle tarda insomma a dare i frutti sperati.
Con il risultato che Psa chiude il 2011, unico grande costruttore, con vendite globali in complessivo calo (dell'1,5% a poco più di 3,5 milioni di vetture, in presenza di un aumento del mercato mondiale del 3%). La buona progressione in Cina (+7,7% rispetto a un mercato in crescita del 3,3%), in America Latina (+10,7% rispetto all'8%) e Russia (+34,8% rispetto al 39%) non è bastata a equilibrare il calo in Europa (- 6,1% rispetto a - 0,5%). Dove c'è l'aggravante della forte presenza di Psa nei Paesi in cui la caduta è stata più forte, a partire da Italia (-10,5%) e Spagna (-16,9%). Così, la quota di mercato in Europa si è ridotta di un punto (al 13,3%) e il bilancio 2011 per il comparto auto di Psa chiuderà in rosso.
Di cosa avrebbe bisogno il gruppo francese, al di là dei piani di rigore già varati (dalla riduzione di personale alla maggiore efficienza negli acquisti)? Certo di accelerare il processo in corso sulla gamma e sull'internazionale (d'altronde ha sette impianti in fase di realizzazione o ampliamento nei Paesi emergenti). Ma anche, forse soprattutto, di ridurre la produzione in Francia. Che oggi, con 6 impianti di auto (più 11 di componentistica) e metà dei 200mila addetti, rappresenta il 40% della capacità produttiva totale del gruppo e il doppio delle vendite sul mercato interno. Uno scenario che fa a pugni con l'evidente necessità di avvicinare sempre più luoghi di produzione e di vendita. Anche perché una vettura prodotta in Francia costa circa il 10% in più di quella realizzata nell'Est europeo.
Ma il quadro politico, a maggior ragione a ridosso dei due appuntamenti elettorali con le presidenziali e le legislative francesi, non lo consente. Ecco perché una fusione con Fiat potrebbe non essere la soluzione, come peraltro ritengono molti esperti. Se infatti aprirebbe a Psa il mercato statunitense (e al gruppo italo-americano quello cinese), consentendo inoltre di raggiungere un'adeguata massa critica in Europa, per funzionare bisognerebbe procedere a una drastica ristrutturazione della dotazione produttiva in Italia e Francia. Quasi impossibile in questo contesto politico e sociale.
Senza dimenticare che la famiglia Peugeot (tutt'ora maggior azionista con il 30% del capitale e il 46% dei diritti di voto) non ha alcuna intenzione di vedersi diluita e che in una fusione quasi alla pari ci sarebbe un rilevante problema di governance. «La capacità decisionale di Psa – dicono al quartier generale di Avenue de la Grande Armée – deve rimanere intatta. Per noi è indispensabile restare padroni del nostro destino».
Questo ovviamente non vuol dire che alla fine Psa la sua alleanza non la farà, con Fiat o qualcun altro. Ipotesi che il gruppo francese sta considerando da anni e sembra ora rafforzata dall'ingresso in azienda, come nuovo direttore della strategia, di Yves Bonnefont, in arrivo da McKinsey dopo essere passato da Arthur Andersen. I mercati sembrano crederci almeno un po': il titolo Peugeot, che ha perso il 55% in sei mesi (con una capitalizzazione ridotta a poco più di 3 miliardi rispetto ai quasi 5 di Fiat), è salito del 4,5% martedì, quando da Detroit sono arrivate le voci su Fiat, e del 5,6% due giorni fa, quando il numero due del gruppo Saint-Geours ha accuratamente evitato di chiudere la porta all'idea dell'alleanza.
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