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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2012 alle ore 09:31.

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Parole d'ordine: contenere i costi, aumentare l'efficienza, accrescere la produttività. Soprattutto del personale. La crisi finanziaria, il crollo delle quotazioni di Borsa, la recessione non sembrano lasciare alternative agli istituti di credito italiani. Lo sanno bene i banchieri e i bancari, ne hanno discusso, da fronti opposti ma sino a trovare comunque un punto di equilibrio, l'Abi e i sindacati del credito che la scorsa settimana hanno firmato il rinnovo del contratto nazionale del settore del credito. Ma quanto costa un bancario italiano a confronto con i suoi colleghi europei? Che sono tantissimi: a fine 2010, secondo i dati più recenti della Federazione bancaria europea, nei 45 Paesi censiti, dalla Ue all'Ucraina sino alla Turchia e oltre, 8.852 istituti di credito occupavano oltre 3,4 milioni di bancari con una rete di oltre 262mila sportelli.

Però non si può comparare il reddito di un manager della City con quello dello sportellista di un villaggio del Caucaso, né quello di un apprendista gnomo di Zurigo con la busta paga di un collega armeno o azero. Più significativo prendere un paniere di grandi banche europee, 17 per la precisione, tra campioni nazionali e medi gruppi quotati di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna e calcolare il peso del costo del personale sugli ultimi bilanci annuali disponibili, quelli di fine 2010.
Con oltre 1,45 milioni di addetti e un costo del lavoro (espresso in euro) che ha sfiorato i 102,63 miliardi, il costo medio annuo lordo per addetto era di 70.500 euro circa. Ma le differenze sono impressionanti. Senza dimenticare che, nel 2011, secondo una recente ricerca del giornale tedesco "Die Welt", sono stati oltre 100mila i bancari europei che hanno perso il lavoro.

Il più remunerato del paniere, cioè un bancario di Deutsche Bank, nel 2010, costava in media 166mila 450 euro circa: cioè il 133% in più della media del campione. Il meno costoso era l'addetto dello spagnolo Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (Bbva): appena 45.700 euro circa l'anno, cioè oltre un terzo meno della media. La più generosa delle banche italiane analizzate era la Popolare di Milano, con 81.400 euro medi l'anno, il 15,5% in più della media continentale (ma il 37% circa oltre la media nazionale di 56.300 euro circa), che la spingevano addirittura al terzo posto nel campione analizzato, alle spalle di Db e dell'inglese Barclays (95.100 euro medi l'anno, il 35% in più della media). Sorpresa? No, visti i rilievi di Banca d'Italia contro le interferenze nelle politiche di remunerazione e promozioni (a pioggia) dell'associazione dei dipendenti soci Amici.

In Europa svettavano anche Credem (quarta, con 75.500 euro circa, il 27% in più del dato medio italiano) e le due grandi Popolari del Nord Italia: Banco Popolare (quinta, 74.800 euro, 26% oltre la media italiana) e Ubi (settima, 73.200 euro, 23% in più del bancario italiano). Appena sotto la media continentale, ma il 16% sopra quella nazionale, il Monte dei Paschi di Siena con un costo medio unitario per addetto nel 2010 di poco meno di 68.900 euro. Molto lontani invece, a fondo classifica, i due campioni nazionali: UniCredit era quint'ultima, con meno di 56.300 euro procapite, il 20% sotto la media del campione e il 5,4% meno di quella italiana; infine Intesa Sanpaolo, con 53.415 euro per addetto, era la penultima del campione con un distacco del 24% dalla media del campione e di oltre il 10% da quella degli istituti italiani analizzati.
Si spiega così plasticamente la politica delle grandi integrazioni, tra fusioni e acquisizioni, che per anni ha rimodellato il settore in Europa e quello italiano tra il 2006 e il 2008/09. L'obiettivo, nel modello europeo alle integrazioni, è stato quello di ridurre il costo del personale (il calo medio del rapporto costi/ricavi è stato di oltre il 3% rispetto ai livelli pre-fusione, con una riduzione del costo medio unitario per addetto di circa 10mila dollari) come pure l'erogazione del credito, attraverso il dimagrimento forzato delle linee di credito "sovrapposte" sugli stessi clienti delle banche integrate.

Nel modello Usa, invece, la strategia dietro le grandi integrazioni bancarie è stata diametralmente diversa: le banche statunitensi si sono fuse per aumentare il margine d'interesse, mentre il cost/income post fusione è aumentato in media dell'1,68% e la spesa media per addetto di circa 2mila dollari l'anno. Lo ha dimostrato una ricerca di Jens Hagendorff e Kevin Keasey, docenti alla Business School dell'Università di Leeds. C'è sempre una doppia lettura possibile anche nelle fredde operazioni finanziarie.
nicola.borzi@ilsole24ore.com

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