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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2012 alle ore 08:28.

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Non ha intenzione di fare guerre con il sindacato sull'articolo 18. E non ritiene necessaria una rifondazione di Confindustria, pur ritenendola «migliorabile» nell'organizzazione. Giorgio Squinzi, vice presidente di Confindustria per l'Europa e numero uno dell'azienda chimica Mapei, il giorno dopo l'insediamento dei saggi e l'avvio delle procedure, dichiara la propria disponibilità alla successione di Emma Marcegaglia. Lo fa con una intervista a Panorama, in edicola da oggi.

Al primo posto, tra i problemi urgenti da risolvere per rendere più facile la vita delle imprese, è la burocrazia. E bisogna andare avanti nella battaglia per la riduzione del fisco: le aziende italiane hanno una disparità evidente rispetto agli altri paesi. Lui lo tocca con mano in prima persona, dal momento che ha aziende in tutto il mondo: «la Mapei paga imposte in circa 40 paesi, con un'aliquota media al 34%, mentre in Italia siamo al 50».

Sono molte, quindi, le questioni da affrontare, prima dell'articolo 18. «Per me la licenziabilità dei dipendenti è forse l'ultimo dei nostri problemi», dice Squinzi nell'intervista a Panorama (che ieri ha fatto alcune anticipazioni del testo alle agenzie di stampa). E su questo punto sottolinea la differenza di atteggiamento rispetto all'altro candidato alla presidenza di Confindustria, Alberto Bombassei: «Bombassei è un signor imprenditore, ma sull'articolo 18 non la vedo affatto come lui».

E aggiunge: «io sono per il dialogo con il sindacato, anche in anni difficili come questi». Raccontando la sua storia personale: «non ho mai ridotto il personale, nè mai chiesto un'ora di cassa integrazione e non ho un precario tra i miei dipendenti». Squinzi, nella sua esperienza confindustriale, è stato anche presidente di Federchimica, in due tornate: dal 1997 al 2003 e poi un secondo mandato scaduto l'anno scorso.
Un ruolo confederale nel quale ha dovuto costantemente confrontarsi con il sindacato. E Squinzi lo racconta: «Da presidente della Federchimica ho siglato sei contratti nazionali senza un'ora di sciopero. E nell'ultimo abbiamo ottenuto anche la possibilità di derogare ai trattamenti minimi economici in caso di giustificati motivi».

Nell'intervista affronta un argomento su cui aveva fatto dichiarazioni pubbliche un paio di mesi fa: l'uscita della Fiat dal sistema confindustriale. «Fiat è una componente importante del mondo manifatturiero italiano e dovrebbe essere naturalmente rappresentata da Confindustria. È un obiettivo importante per il quale sono pronto ad impegnarmi», aveva detto a fine novembre, ipotizzando una sua possibile disponibilità a succedere alla Marcegaglia. Un concetto ribadito anche a Panorama. Sottolineando però che nelle relazioni industriali bisogna andare avanti non per scontri, ma cercando l'accordo.

Non poteva mancare nell'intervista un riferimento a Confindustria. «Confindustria non ha alcun bisogno di una rifondazione», dice il numero uno della Mapei nell'intervista, riferendosi implicitamente alla parola usata da Bombassei, altro candidato in corsa per la presidenza della confederazione, nel decalogo inviato per e-mail ai membri di giunta e a quasi 300 organizzazioni confindustriali.

«È perfettibile, è migliorabile, razionalizzabile. Per esempio dovremo evitare inutili sovrapposizioni e ridurre le spese, aumentando invece i servizi per gli associati». E aggiunge: «credo che si possa farlo, del resto, perfino Luca di Montezemolo ha combinato qualcosa di giusto nella sua presidenza». Infine, un accenno a se stesso: «se fossi eletto presidente vorrei mantenere la mia libertà di giudizio e dagli schieramenti politici». Non solo: «vorrei evitare di trasformarmi in un presidente professionista, punterei a risultati importanti, ma senza perdere il contatto con la mia azienda». La Mapei, quindi, fondata nel 1937 dal padre Rodolfo e nella quale lui ha lavorato già dalla fine degli anni '70, avviandone l'internazionalizzazione.

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