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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2014 alle ore 06:43.

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Una schiera d'ingegneri, soprattutto. Ma anche molti geometri e architetti, riconvertiti a una nuova professionalità. È questo lo spaccato che emerge confrontando (laddove i dati sono reperibili) i titoli di studio dei tecnici iscritti negli elenchi regionali e abilitati a rilasciare gli Ace/Ape. Su alcuni territori, come la Calabria, l'Umbria o la Sardegna, la percentuale di laureati in ingegneria arriva fino al 60-70% del totale: quasi in stridente contrasto con la decisione dello Stato, nel Dpr 75/2013, di allargare a un numero molto ampio di titoli di studio l'accesso alla qualifica di certificatore energetico.
Se l'obbligatorietà del rilascio degli attestati ha creato, negli ultimi anni, una nuova professione – specie da quando è scattato il vincolo per compravendite e affitti – non si può dire che la vita di chi si candida a svolgere questo lavoro sia semplice. Una situazione che è ben mappata nel rapporto 2013 del Comitato termotecnico italiano. Innanzitutto perché, anche se a livello nazionale lo scorso anno è stata fatta finalmente chiarezza sui titoli di studio che danno accesso agli elenchi, la situazione è ancora estremamente difforme nelle Regioni che si sono mosse prima dello Stato per mettere in piedi propri sistemi di rilascio delle targhe di efficienza. Inoltre, se il Dpr 75/2013 si è orientato sulla decisione di non rendere obbligatorio il corso di formazione per chi è iscritto a un albo o collegio, su molti territori la formazione resta un presupposto di base per tutti. Non è solo il caso della Lombardia, dove è in vigore un sistema di calcolo particolare, che deve essere appreso, o della Provincia di Bolzano, dove gli auditori di CasaClima necessitano di un corso specifico per conseguire il titolo. Ma anche di Regioni come la Liguria, che impongono un minimo di 16 ore sui banchi di scuola per imparare a usare il sistema e il software regionale, che pur si basa sulle Uni/Ts 11300.
Anche sul programma delle lezioni da seguire, nessuna uniformità. La struttura dei corsi si somiglia da una Regione all'altra, ma la durata e i requisiti di frequenza cambiano a seconda dei casi. La lunghezza di un modulo di formazione completo, in media di 70-80 ore, va dalle 54 ore della Valle d'Aosta alle 116 della Provincia di Bolzano. Solo in Emilia Romagna è contemplata la possibilità di seguire lezioni in autoapprendimento: tutto pur sempre sottoposto a superamento di esame finale.
Una volta completato l'iter, per iscriversi agli elenchi bisogna, poi, pagare una tariffa annuale. E anche qui scattano differenze più o meno marcate. Si va da 100 euro all'anno stabiliti in Piemonte e Puglia, ai 120 euro previsti in Lombardia, ai 130 in Provincia di Trento. In Emilia Romagna si pagano 100 euro, ma per i tre anni di durata dell'inserimento negli elenchi. Valle d'Aosta e Sicilia non prevedono alcuna quota.
«Un punto delicato, non ancora affrontato in modo sistematico a livello nazionale – segnalano infine dal Cti – è infine quello del mutuo riconoscimento dei titoli, ossia della possibilità che un certificatore accreditato in una Regione possa svolgere la sua attività nelle altre». Il passaggio è automatico, senza verifica, solo sui territori di Basilicata, Emilia Romagna, Sardegna e Sicilia. Ma appena due Regioni, cioè la Lombardia e l'Emilia Romagna, hanno stretto a oggi veri e propri accordi con altre Autonomie.
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