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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2014 alle ore 09:20.

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Salve poche eccezioni (Juventus e Mapei stadium, stadi di Udine, Teramo e Olimpico di Roma, del Coni) tutti gli stadi italiani sono di piena proprietà comunale. Secondo i principi comunitari recepiti nell'ordinamento italiano, la loro cessione ai privati a fini di lucro deve passare da una procedura di evidenza pubblica, ovvero da una gara.
Le prime bozze della legge stadi erano lacunose sul punto, prevedendo che qualsiasi società privata interessata a costruire e gestire gli impianti, solo per aver trovato una intesa con le associazioni fruitrici dell'impianto, avesse titolo per presentare un progetto e attuarlo direttamente se riconosciuto di interesse pubblico dal Comune.
Le nuove disposizioni prescrivono ora una vera e propria procedura di gara mutuata dal modello del project financing del Codice dei contratti pubblici: «In caso di interventi da realizzare su aree di proprietà pubblica o su impianti pubblici esistenti – si legge nella norma – il progetto approvato è fatto oggetto di idonea procedura di evidenza pubblica, da concludersi comunque entro novanta giorni dalla sua approvazione. Alla gara è invitato anche il soggetto proponente, che assume la denominazione di promotore. Il bando specifica che il promotore, nell'ipotesi in cui non risulti aggiudicatario, può esercitare il diritto di prelazione entro quindici giorni dall'aggiudicazione definitiva e divenire aggiudicatario se dichiara di assumere la migliore offerta presentata. Si applicano, in quanto compatibili, le previsioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in materia di finanza di progetto». Se l'aggiudicatario è diverso dal proponente, è tenuto a subentrare, alle stesse condizioni, negli accordi proposti dallo stesso proponente.
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