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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 08:04.

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Stabilimento della Parmalat (Bettolini / IMAGOECONOMICA)Stabilimento della Parmalat (Bettolini / IMAGOECONOMICA)

di Antonella Olivieri
Al decreto che potrebbe far slittare a giugno l'assemblea di Parmalat manca ancora la firma del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Così la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, che era attesa ieri, è stata rinviata. Il ritardo dell'adunanza dei soci non è però nell'interesse di Lactalis che ha già messo da parte un pacchetto del 29%. «Non si possono cambiare le regole del gioco in corsa», ha detto il presidente di Lactalis Italia Antonio Sala. Tant'è che i legali che l'assistono – lo studio D'Urso, Gatti e associati – hanno già messo a fuoco una serie di considerazioni che, nelle intenzioni, dovrebbero servire da deterrente.

L'una è che lo statuto di Parmalat già prevedeva la facoltà di convocare l'assemblea fino a 180 giorni dopo la chiusura dell'esercizio, e non è stata utilizzata. Ma le regole del gruppo di Collecchio non avrebbero consentito di sconvocare un'assemblea già convocata come invece il decreto in arrivo, e nel frattempo non si può dire che non siano intervenuti fatti nuovi. A decidere dovrà essere comunque il consiglio.

Ma, segnalano i legali, l'ad Enrico Bondi, Massimo Confortini e Carlo Secchi si troverebbero in conflitto d'interesse per aver accettato di essere candidati nella lista concorrente di Intesa Sanpaolo. Tuttavia, la normativa vigente consente agli amministratori, che dichiarino il loro conflitto, di votare comunque. Prendendo posizione, i consiglieri in conflitto si esporrebbero però al rischio di un'azione di responsabilità perchè Lactalis, che ha già stanziato 1,5 miliardi, potrebbe ritenersi danneggiata.

Le schermaglie legali non sarebbero comunque risolutive e, frattanto, si guadagnerebbe tempo per tentare di mettere in piedi un'iniziativa di matrice italiana. Sulla carta, l'unica operazione in grado di tacitare qualsiasi polemica sarebbe un'Opa. Ma chi è disposto a lanciarla? Oggi occorrerebbe mettere sul piatto 5 miliardi, per conquistare il controllo di un gruppo che solo qualche mese fa sarebbe costato meno di un terzo.
L'ipotesi alternativa di una "Telco" del latte – una holding mista industrial-finanziaria – rilanciata ieri dalla stampa transalpina, non risulta essere gradita dal principale candidato a un'operazione tricolore, Ferrero, che ieri si è limitato a rimandare a quanto già dichiarato e cioè che c'è «interesse e simpatia» per «l'eventualità di un progetto industriale di lungo periodo di stampo italiano», «se matureranno le condizioni che lo rendano possibile». Queste condizioni fino a qualche giorno fa erano: o Ferrero o i francesi e comunque niente Opa. Martedì la trasferta parigina di Giovanni Ferrero non ha sortito effetti: Emmanuel Besnier aveva già rilevato il 15,3% di Parmalat in mano ai fondi Zenit, Skagen e MacKenzie e non si è dichiarato disponibile a vendere. Da allora contatti diretti non ce ne sarebbero più stati e da Mediobanca, che dovrebbe assistere Ferrero nell'esame del dossier, arriva solo un «no comment».

La formula "Latco" non entusiasmerebbe neppure i francesi, sebbene il deputy general manager di Lactalis e presidente di Lactalis Italia, Antonio Sala, si sia mostrato possibilista. «Crediamo che anche altri azionisti possano condividere il nostro progetto e contribuire al suo successo», ha sottolineato il manager, escludendo che l'intento dell'operazione sia quello di mettere le mani sulla cassa di Collecchio. Le risorse finanziarie di Parmalat, il tesoretto da 1,4 miliardi, saranno destinate «unicamente a investimenti per far crescere il valore» dell'azienda e «per acquisire nuove realtà». E non invece per acquistare Galbani (già di Lactalis): «Lo escludo nella maniera più categorica». Quanto alla disponibilità al lancio di un'Opa Sala ha detto che non la si ritiene «necessaria» per portare avanti il progetto industriale.

Resta comunque forte l'impegno a trovare una soluzione del ceo di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, che ha sottolineato come la norma approvata dal Governo sia «il presupposto per una iniziativa valida». Che fa perno su Ferrero, dal momento che una combinazione tra i due gruppi potrebbe sprigionare «in linea teorica sinergie enormi» sia in Italia sia nei paesi dove i due marchi sono presenti. Secondo Passera l'interesse dell'azienda piemontese – dalla quale sono arrivate «affermazioni inequivocabili» – per un progetto industriale di lungo periodo «è uno dei presupposti su cui stiamo lavorando, non è l'unico ma è il più rilevante». «Percepiamo un crescente interesse intorno a questa possibile operazione», ha osservato. «Quando c'è di mezzo il passaggio di controllo di aziende rilevanti – ha concluso – occorre assicurarsi che possano esserci operazioni di mercato alternative sulle quali poi il mercato stesso deciderà».

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