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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 07:51.

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Lactalis non cede: voteremo col 29%Lactalis non cede: voteremo col 29%

È stato convocato il 1° aprile il cda Parmalat per valutare la possibilità di spostare l'assemblea rispetto alle date già fissate del 12-13 e 14 aprile. Un atto dovuto, alla luce del decreto legge 26/2011 che lo consente, che però farà slittare l'adunanza dei soci solo se ci sarà un motivo per farlo. Se per esempio verrà presentata una «manifestazione d'interesse» da parte dell'ipotetica cordata tricolore che Intesa Sanpaolo sta cercando di concretizzare. Nel frattempo l'ad Enrico Bondi si è recato a Palazzo Chigi, probabilmente a colloquio con Gianni Letta.

Lactalis però non molla la presa su Collecchio e in assemblea ha intenzione di votare con tutto il suo 29%. In queste ore i legali del gruppo francese stanno studiando come sciogliere il nodo Antitrust. Una volta inoltrata la notifica e in pendenza di una risposta dell'Authority Ue – la procedura "ordinaria", che pare attinente al caso (i due gruppi sono complementari), prende 25 giorni lavorativi – Lactalis dovrebbe astenersi dall'esercitare i diritti di voto in assemblea e, se la sua lista di consiglieri per il rinnovo del board fosse comunque in grado di esprimere amministratori, quelli collegati con il gruppo, come il presidente di Lactalis Italia Antonio Sala, rischierebbero di non poter esercitare il proprio ruolo.

Per evitare una situazione senza precedenti, la soluzione che i legali del gruppo transalpino stanno mettendo a fuoco è quella di chiedere alla Commissione Ue una deroga alla notifica che consentirebbe di poter partecipare attivamente all'assemblea. L'intenzione è di spendere tutta la quota a disposizione. Vale a dire: oltre al 13,97% del capitale già detenuto direttamente, anche il 15% potenzialmente rilevabile tramite i contratti di equity swap. I tre contratti con SocGen e il Crédit Agricole, validi fino al 2012, prevedono che le azioni possano essere acquistate in qualsiasi momento, ma basterà utilizzare strumenti quali il prestito titoli per votare con tutto il 29%.

Quel che è certo è che i francesi non hanno intenzione di ritirare un progetto che considerano di valenza industriale. Prima che l'operazione prendesse la piega dell'operazione ostile, il piano era stato illustrato a Parmalat e informalmente anche a Intesa Sanpaolo, quale primo azionista italiano. Da Collecchio, a quanto si apprende, il progetto industriale era stato ritenuto interessante, mentre Intesa si era inizialmente dichiarata neutrale nella partita, così come era stato assicurato ai tre fondi Zenit, Skagen e MacKenzie che avevano riunito in un patto il loro 15,3 per cento.

Le cose poi sono andate diversamente. Parmalat aveva fatto sapere di non gradire, Intesa aveva presentato una lista per il cda che ricandidava l'ad uscente Enrico Bondi, e Lactalis è andata avanti comprando le azioni sul mercato. Una volta raggiunto l'11,4%, sabato 19 marzo aveva quindi chiesto un contatto con i fondi pattisti. Ai francesi era stato risposto di mettersi in coda, perché qualcun altro aveva preso appuntamento: probabilmente qualcuno per conto di Ferrero, che però aveva avanzato perplessità sul tetto del 50% al pay-out. Nella notte tra lunedì 21 e martedì 22 Lactalis ha chiuso l'accordo con i fondi. È andata così a vuoto la trasferta di Giovanni Ferrero a Parigi, fissata per il 22 già in precedenza, per sondare la disponibilità di Emmanuel Besnier, proprietario di Lactalis, a cedere le azioni.

Lactalis non ha intenzione di lanciare un'Opa, perché giudica sufficiente il 29% per portare avanti il proprio progetto industriale, che non prevede sinergie di costi, bensì sinergie commerciali e quindi di ricavi. L'Opa del resto sarebbe un passo impegnativo se sono corretti i dati di bilancio (Lactalis non li pubblica) che illustrano un fatturato di 9,5 miliardi (50% nel settore caseario, 15% nel latte, 15% nel settore degli yogurth), un Ebitda di 970 milioni e un debito di 2,4 miliardi, tanto quanta è costata l'acquisizione di Galbani. Dall'altra parte Ferrero – assistita da Mediobanca in coordinamento con Intesa – ha riaffermato l'interesse, ribadendo le sue condizioni: e cioè che si tratti di un progetto industriale, di lungo periodo e di stampo italiano. Esclusa però l'idea, che sarebbe risolutiva, di lanciare un'Opa, mentre nel contempo non c'è disponibilità a strapagare per il controllo di Collecchio, né di battagliare con i francesi. In sostanza: Ferrero c'è nella misura in cui Lactalis sia disponibile a cederle la propria quota. Al momento questa disponibilità non esiste e anzi ieri il gruppo di Laval ha ricordato che in Francia il settore del latte non è considerato «strategico».

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