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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2011 alle ore 07:48.

«Quello che manca di più all'Italia in questa fase, è un grande progetto di rilancio del Paese. Servirebbe un clima di unità per marciare compatti in un'unica direzione, come era in Italia negli anni '60 e come avviene oggi in Paesi emergenti come la Turchia. Purtroppo, le varie forze che dovrebbero contribuire alla crescita economica sono disunite.
E all'estero, il peso politico e d'immagine dell'Italia non è dei migliori. In positivo, ci apprezzano per gli sforzi di contenimento del debito e per il rigore nella finanza pubblica». Federico Ghizzoni, chief executive officer di UniCredit da poco più di sei mesi, per la prima volta accetta di parlare a tutto campo. Dal quartier generale di Roma a Palazzo De Carolis, a due passi dai palazzi della politica, Ghizzoni non si sottrae ad affrontare la dimensione politica che inevitabilmente, date le dimensioni, caratterizza un colosso bancario come UniCredit.
Dottor Ghizzoni, il Paese è diviso e l'economia cresce poco. Ma aggiungiamo anche che la reputazione delle banche è ai minimi livelli. Insomma, è anche colpa vostra?
La reputazione delle banche è bassa ovunque. Eppure io sono convinto di riuscire a far capire che UniCredit è un asset decisivo per il Paese. Serve da parte nostra un'assunzione di responsabilità e anche di leadership che, se ben esercitata, incide anche sulla reputazione. Dobbiamo essere uno dei motori del rilancio dell'economia e dell'industria italiana, aiutando le imprese a diventare grandi. In Germania ci sono tantissime imprese, non quotate e a proprietà familiare, che vanno dai 100-200 milioni fino ai 6 miliardi di fatturato. Da noi si continua con la leggenda che "piccolo è bello". Intanto la Germania cresce il doppio dell'Italia.
Si iscrive anche lei al partito del declino?
Al contrario. Io resto ottimista, perchè so che questo Paese ha grandi eccellenze e grandi potenzialità. Ma bisogna che chi ha posizioni di leadership, come noi in campo bancario, si assuma le proprie responsabilità per il Paese. E bisogna anche farlo in fretta, perché i Paesi emergenti corrono creando un gap di competitività sempre più ampio. È una partita in cui chi resta indietro, rischia molto. Uno dei temi da affrontare è quello del lavoro giovanile. Non voglio invadere altri campi, parlo di banche e faccio un esempio: da noi l'età media dei dipendenti bancari è di 45 anni, in Turchia dove abbiamo 17 mila dipendenti è di 29 anni.
È ottimista anche sulle prospettive della banca? Il 2010 è stato ancora un anno difficile. In Italia, che tuttora pesa per il 50% dei ricavi, avete addiritttura chiuso in perdita. Che previsioni fate per il 2011?
È vero, ma le azioni che abbiamo intrapreso stanno già dando risultati soddisfacenti e sono certo che il 2011 sarà l'anno della svolta per UniCredit. Il peggio della crisi è alle spalle e credo che noi siamo il gruppo bancario europeo con il maggior potenziale inespresso. Lo dimostrano i dati del primo trimestre, che presenteremo tra poche settimane, e che evidenziano un buon andamento dell'area investment banking e una ripresa sensibile dell'attività commerciale anche in Italia, dove tra l'altro si conferma la discesa del costo del credito.
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