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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 19:44.

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A Omaha vacilla il mito di BuffettA Omaha vacilla il mito di Buffett

È stato un errore. Per la prima volta Warren Buffett ha ammesso di avere sbagliato «non chiedendo a David Sokol esattamente quando avesse comprato le azioni» di Lubrizol. E l'ombra lunga del tradimento, - tanto peggiore perché arrivato da una delle persone di cui Buffett si fidava di più, il suo braccio destro, il suo possibile successore - si allunga sull'assemblea annuale degli azionisti di Berkshire Hathaway a Omaha, in Nebraska.

La Woodstock del capitalismo, quello che è sempre stato un evento a metà tra la convention finanziaria, la fiera di paese e la reunion tra vecchi amici, non è solo la consueta passerella d'onore per Buffett. In parte pesano i conti preliminari del primo trimestre, non scintillanti, (l'utile è calato del 58% a 1,51 miliardi di dollari, soprattutto a causa del cattivo andamento delle attività assicurative, che hanno registrato perdite per 821 milioni di dollari, contro l'attivo di 226 milioni dell'anno scorso). Ma soprattutto è colpa della bufera causata da Sokol: spingeva perché Berkshire acquistasse Lubrizol, società chimica dell'Ohio, per 9,7 miliardi di dollari, ha detto a Buffett di essere azionista di Lubrizol, tralasciato però di precisare di avere acquistato la sua quota (96 mila azioni per 9,92 milioni di dollari) a gennaio. Buffett non ha chiesto quando i titoli erano stati comprati, per poi trovarsi a mal partito quando è emerso che, grazie al rialzo del titolo di Lubrizol dopo l'acquisizione, Sokol ha guadagnato circa 3 milioni di dollari. «Il mio è stato ovviamente un errore», ma quella del manager è stata un'azione «incomprensibile e non scusabile», ha detto Buffett. Ha così motivato la decisione di accettarne le dimissioni, che pure «non erano state richieste».

Nessuno lo dice apertamente, nessuno arriva a dire che «l'oracolo» ha forse perso un po' del suo tocco, nessuno mette in discussione la capacità di giudizio del numero uno di un impero che dal 1964 al 2010 ha realizzato un incremento per azione superiore al 490%, ma il brusio di corridoio nel convention center di Omaha, resta. Tra i 40.000 del Qwest Center c'è chi non si accontenta di sapere che le dimissioni di Sokol sono state accettate «per evitare i costi di un licenziamento» e arrivano le domande più spinose: perché Buffett non ha chiesto più informazioni? Perché, una volta emerso il problema, non lo ha licenziato in tronco? Perché la lettera scritta agli investitori «ha dato una risposta inadeguata», in parte difendendo l'operato del manager? Il numero uno di Berkshire ricostruisce la storia dall'inizio e nicchia quando gli si chiede come eviterà che ci siano altri Sokol tra i candidati alla successione, «una questione difficile». Del resto, pochi si aspettavano che arrivasse il nome dell'erede dell'impero.

Buffett aveva promesso di rispondere e non si è tirato indietro, si è mostrato a proprio agio e non ha lesinato battute. Ma il meglio di sé lo ha dato quando la discussione è tornata sul terreno che gli è più congeniale, l'andamento di Berkshire, le tensioni internazionali, gli investimenti, il calo del dollaro, il rally dell'oro. E l'economia americana, su cui si è mostrato ottimista: «Ci saranno sempre momenti negativi e problemi, ci saranno di tanto in tanto anni molto brutti, ma il potere del capitalismo è incredibile, è quello che ci sta portando fuori dalla recessione».

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