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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2011 alle ore 14:53.
Telecomunicazioni settore strategico? «La strategicità non si tutela difendendo l'esistente, ma creando le condizioni per nuovi investimenti sia da parte degli operatori nazionali che da parte degli operatori esteri. L'importante è avere un mercato che funzioni, la certezza del diritto, il rispetto delle regole, la riduzione della burocrazia. E lo Stato prima che preoccuparsi degli strumenti di difesa, deve preoccuparsi del progetto di politica industriale che intende perseguire». Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom, affronta con la redazione del Sole 24 Ore i temi caldi del nuovo corso del gruppo.
I dati del primo trimestre confermano che Telecom corre in Brasile e Argentina, ma resta in affanno sul mercato domestico. Siete in grado di finanziare la crescita laddove si cresce o pensate prima o poi di dover ricorrere agli azionisti?
Bernabè. Anzitutto vorrei sottolineare che abbiamo fatto una scelta strategica, che inverte quella che era la tendenza del gruppo ormai da 7-8 anni. Telecom a fronte dell'elevato indebitamento – dovuto alla fusione con Olivetti e poi al buy-out delle minoranze di Tim – ha reagito cedendo attività all'estero, ridimensionandosi fortemente. Quando sono arrivato, nel 2008, ho trovato una situazione di accesa concorrenza in Italia, con l'Argentina che presentava una serie di problematicità legate al rapporto con i soci e il Brasile in una fase di caduta di quote di mercato e di criticità anche sul piano economico. Tant'è che, ancora nel 2009, c'erano pressioni affinché fossero cedute le attività brasiliane con l'argomentazione che era necessario ridurre il debito e si poteva farlo dismettendo proprio questo asset. Per contro, si diceva, si cercherà invece di valorizzare le attività domestiche con i conseguenti ragionamenti sullo scorporo della rete.
E invece?
Bernabè. Si pensava di risolvere il problema del debito con il ridimensionamento del gruppo a misura nazionale o addirittura con la sua riduzione a puro fornitore di servizi. Da subito ho ritenuto che questa fosse una soluzione perdente: i problemi di un mercato maturo sono strutturali e necessitano un cambiamento del paradigma del business. Alla presentazione del piano industriale a Londra, nel dicembre del 2008, sottolineammo che il punto fermo era la salvaguardia della generazione di cassa e che ci saremmo concentrati più sulla riduzione dei costi che sulla crescita dei ricavi, puntando sui mercati esteri per lo sviluppo. Abbiamo quindi avviato la ristrutturazione in Brasile e lavorato per recuperare la nostra presenza in Argentina. In tre anni abbiamo tagliato 5 miliardi di costi, compensando la flessione dei ricavi sul mercato domestico. Che in Europa il mercato sia maturo lo dimostrano anche i risultati di Deutsche Telekom, o quelli di Kpn, che è il campione della strategia di focalizzazione sul domestico. Anche Orange, che ha un modello di business diverso dal nostro, mostra segni di affaticamento, mentre Telefonica non ha ancora presentato i conti, ma non credo che vedremo un quadro molto diverso per quanto riguarda il mercato spagnolo.
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