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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2011 alle ore 17:41.

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Un'altra crisi finanziaria in vista a causa dei derivati. È solo una battuta di un economista in cerca di facile visibilità mediatica? Non proprio, se a parlare è Mark Mobius, presidente esecutivo di Templeton Asset Management per i mercati emergenti, un profondo conoscitore dei mercati internazionali e responsabile di uno dei maggiori operatori globali. Mobius ha precisato che un'altra crisi finanziaria è inevitabile perché le cause di quella precedente non sono state risolte.

Ma è possibile che dopo il varo della legge di riforma finanziaria Dodd-Frank negli Stati Uniti ci siano ancora questi problemi? «C'è un'altra crisi finanziaria dietro l'angolo, perché non abbiamo risolto nessuno dei motivi che hanno causato la crisi precedente», ha detto il 30 maggio Mobius al Club dei Foreign Correspondents a Tokyo, in risposta ad una domanda sui prezzi altalenanti. «Sono stati regolamentati i derivati? No. Siamo forse ancora in una fase con una crescita trainata dai derivati? Sì», ha ribadito Mobius.

Effettivamente Paul Volker, 84 anni, ex governatore della Fed e consulente di Barack Obama, aveva chiesto tre cose per rimettere ordine nella finanza deregolamentata sia dai repubblicani di Ronald Reagan sia dai democratici di Bill Clinton: 1) le banche non possono essere troppo grandi per fallire; 2) le banche che raccolgono risparmio e hanno quindi la tutela dello Stato non possono rischiare con operazioni in proprio, (proprietary trading) oltre certi limiti, sui mercati speculativi; 3) i derivati vanno posti sono attento controllo.

Ma cosa è accaduto dopo il varo del Dodd Frank act? «Il valore totale dei derivati in tutto il mondo supera il totale mondiale del prodotto interno lordo di dieci volte», ha detto Mobius, che gestisce più di 50 miliardi di dollari di asset. Con quel volume di scommesse in direzioni opposte, impossibile non aspettarsi la volatilità e le crisi dei mercati azionari.

La crisi finanziaria mondiale tre anni fa è stata causata in parte proprio dalla proliferazione di prodotti derivati legati ai mutui immobiliari americani che hanno cessato di guadagnare, provocando centinaia di miliardi di dollari in svalutazioni, un fatto che portò successivamente al crollo di Lehman Brothers il 15 settembre 2008. L'indice azionario mondiale Msci World Index, perse il 46% del suo valore tra il crollo di Lehman e il punto minimo del mercato azionario toccato il 9 marzo 2009.

«Con ogni crisi arrivano grandi opportunità – ha detto Mobius –. Quando i mercati vanno male, quello è il momento di investire e fare un buon lavoro». Ma la di là delle frasi di circostanza e di cauto ottimismo ciò che più interessa della diagnosi di Mobius è la parte che dove l'economista ha ricordato che il congelamento dei mercati del credito globale ha provocato un'iniezione di liquidità dei governi, da Washington a Pechino a Londra per più di 3mila miliardi dollari nel sistema finanziario per sostenere l'economia globale. L'indice Msci Ac World ha guadagnato il 99% dal punto più basso raggiunto del 9 marzo 2009. Poi è arrivata la crisi dei debiti sovrani.

Ma ciò che preoccupa è che le maggiori banche degli Stati Uniti sono diventate più grandi da quando è arrivata la crisi finanziaria, e il numero di istituti "troppo grandi per fallire" aumenterà ulteriomente del 40% nei prossimi 15 anni, secondo i dati elaborati da Bloomberg. Inoltre, come ha suggerito l'Fmi nel suo recente rapporto del 27 maggio, servirebbero requisiti di capitale più elevati e una maggiore vigilanza, alle banche "troppo grandi per fallire" così da ridurre le probabilità di fallimenti su larga scala.

«Le banche sono più grandi rispetto a prima? Sì, sono più grandi di prima - ha detto Mobius -. Sono troppo grandi per fallire». Esattamente il contrario di quello che raccomndava Paul Volcker al presidente Obama, cioè di evitare giganti troppo grandi per fallire. La paura della crisi sembra passata senza che siano stati erette nuove difese contro i derivati, i nuovi "barbari" sempre pronti ad attaccare le mura dell'impero finanziario.

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