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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2011 alle ore 08:11.

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(AFP)(AFP)

di Riccardo Sorrentino
Nessuno si era fatto grandi illusioni. Quando, un anno fa, la Cina aveva di nuovo sganciato lo yuan dal dollaro, permettendogli di "strisciare" verso l'alto, pochi si aspettavano risultati eclatanti. L'apprezzamento del 5,5%, alla fine, è superiore alle attese anche se, in ogni caso, poche cose sono cambiate.

Non poteva essere altrimenti. Lo sganciamento non era un piacere a Washington, che da anni chiede invano una rivalutazione: era un favore a Pechino. Solo ed esclusivamente ragioni interne hanno spinto il partito comunista a far muovere di nuovo il cambio. La mossa, non a caso, era stata prima preparata e poi accompagnata da una serie di articoli, tecnici e politici insieme, del vicegovernatore della Banca del Popolo, Hu Xiaolian: la signora del cambio cinese aveva dovuto affrontare e rintuzzare le mille obiezioni "domestiche" a un rialzo dello yuan che ha avuto e avrà importanti conseguenze redistributive.

Pechino non voleva infatti ridurre le esportazioni - non avrebbe avuto senso - ma stimolare la domanda interna, per ragioni politico-sociali ed economiche al tempo stesso. L'apprezzamento della valuta non ha certo reso meno competitive le merci cinesi: la stragrande maggioranza dei listini degli esportatori sono direttamente espressi in dollari, e una rivalutazione dello yuan colpisce soprattutto, se non esclusivamente, i loro margini. Nell'ultimo anno (i dati sono di maggio) i prezzi delle importazioni cinesi negli Usa sono così aumentati del solo 2,8 per cento.

L'intento di Pechino, spiegò Hu, era ed è quello di riequilibrare la crescita dei settori tradable, quelli soggetti alla concorrenza internazionale, verso i settori non-tradable, i servizi innanzitutto, spostando le risorse da un comparto all'altro e rendendo il Paese meno dipendente dalla domanda globale.

L'adeguatezza dell'apprezzamento del cambio, allora, non va valutata tanto guardando alla riduzione del surplus cinese - che non era un obiettivo della politica di Pechino e che subisce anche i rincari delle materie prime importate - ma ad altri fattori economici, tutti interni. E non occorre scendere in profondità: basta guardare all'andamento dell'inflazione.

Il motivo è semplice: se un cambio non si apprezza abbastanza, allora sono prezzi e salari a salire al suo posto. Più lentamente, ma in modo inesorabile. Molti fattori sono in gioco - anche, per esempio, l'adeguamento ritardato degli stipendi ai guadagni di produttività - e non tutto è riconducibile al cambio ancora troppo fermo, ma il surriscaldamento dell'economia è evidente. Il cambio "basso" ha reso espansive le condizioni monetarie, mentre la necessità di creare "dal nulla" nuovi yuan per evitarne l'apprezzamento ha messo in circolo una quantità di denaro eccessiva: i drenaggi (le "sterilizzazioni") che sono state compiuti non sono e non potevano essere perfetti. Il rialzo dei prezzi era inevitabile, ed è una spia accesa che segnala quanto sia stato inadeguato il rialzo dello yuan. La dinamica dei prezzi ha superato il 5%, mentre sul settore immobiliare si è rischiata la bolla.

Cosa succederà nel futuro? Hu ha disegnato uno scenario di medio-periodo abbastanza preciso che - l'anno scorso - sembrava poco verosimile. Oggi, però, dopo un apprezzamento dello yuan comunque superiore alle attese e la fiammata dell'inflazione, quelle parole meritano maggiore attenzione: la Cina ha bisogno di un cambio ancora più forte per frenare l'inflazione, per acquistare a prezzi più convenienti le materie prima da importare, e per stimolare la domanda interna.

La prossima rivoluzione - non facile, forse non immediata - sarà allora l'adozione di un cambio strisciante non più verso il dollaro, ma verso un paniere di valute. Nelle segrete stanze della Banca del Popolo qualcosa del genere già avviene: è il cambio effettivo, quello calcolato verso le monete dei principali partner, a essere preso in considerazione; e non potrebbe essere altrimenti, sul piano dell'analisi degli effetti della politica monetaria e valutaria. La svolta, allora, sarà quella di rendere esplicito questi parametri: «In futuro - ha annunciato Hu Xiaolian - sarà valutata (l'opportunità di) pubblicare informazioni sul cambio nominale effettivo su base regolare e di spostare l'attenzione del pubblico dal renminbi/dollaro al cambio effettivo che è il vero riferimento dei suoi movimenti».

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