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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2011 alle ore 17:06.
L'ultima modifica è del 20 settembre 2011 alle ore 08:06.

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NEW YORK - Il calvario continua: Standard and Poor's, a sorpresa, nella notte, ha diminuito di un punto il voto al debito italiano: siamo scesi da A+ ad A. Nel momento in cui si pensava alla Grecia e alle preoccupanti difficoltà con cui ci si confronta per rimettere in carreggiata un paese relativamente piccolo, l'attenzione torna improvvisamente sul nostro Paese, la terza economia europea.

E questo succede nel momento in cui sembrava che avessimo preso misure di austerità che avrebbero dovuto consentirci di guadagnare tempo. Il Wall Street Journal osserva nell'edizione on line quanto questo possa aumentare le tensioni nella zona euro.

Le motivazioni di Standard and Poor sono lapidarie. La prima: la decisione riflette «prospettive per una crescita economica che si va indebolendo»; la seconda motivazione, legata alla prima è un petardo per la tenuta del nostro governo: la coalizione di governo è «fragile» dice Standard & Poor's e non si ritiene che sarà in grado di prendere quelle misure necessarie per affrontare problemi che si faranno più profondi. La terza riguarda la dimensione del nostro debito che resta troppo elevata. Restiamo in zona A ovviamente e dunque in quella zona che caratterizza un debito ancora buono per gli investitori. Ma quanto più difficile e soprattutto più costoso sarà ottenere dopo questo voto la liquidità necessaria a rifinanziare le nostre scadenze sul mercato?

La decisione di ieri notte, e le motivazioni dell'agenzia per la valutazione del credito colpiranno oggi su tre livelli diversi. Sul mercato, che non ieri, come si è detto, non scontava questa decisione. Si pensava piuttosto a Moody's, più generosa nei nostri confronti, che aveva annunciato una possibile revisione al ribasso del suo voto all'Italia fra un mese. Ora anche Moody's sarà sotto pressione per intervenire. Il secondo livello riguarda il nostro dibattito politico interno, con un'accelerazione delle richieste di dimissioni di questo Governo da parte dell'opposizione e con inevitabili ripercussioni su una coalizione che appare inadeguata agli occhi dei mercati internazionali: quando il leader della Lega Bossi riprende il tema della secessione in questo momento così delicato, i destinatari non solo solo i suoi interlocutori politici interni, ma gli operatori di mezzo mondo che hanno letto la notizia in tempo reale con reazioni preoccupate: «Da oggi ci troviamo su un livello diverso, Standard and Poor's alza la posta in gioco perché le reazioni a una situazione politica difficile da parte di noi operatori vengono improvvisamente certificate in modo ufficiale» ha detto nella notte a il Sole 24 Ore un autorevole operatore a New York.

Le conseguenze infine ci saranno oggi sul dibattito politico europeo e internazionale. L'Italia non è la Grecia e con pressioni già forti per la tenuta del sistema monetario europeo, la partita si fa improvvisamente più difficile. Non è un caso che Barack Obama e Angela Merkel abbiamo avuto ieri una conversazione telefonica per discutere delle prospettive della crisi.

Il presidente americano è preoccupato. La tenuta della crescita europea ha ripercussioni sul mercato e sull'economia americana. Ma i due leader hanno detto di voler considerare «azioni da prendere nei prossimi mesi...». Nei prossimi mesi? Quando il problema era gia' immediato ieri con la crisi greca? È ovvio, come del resto abbiamo già constatato dopo il vertice dei ministri finanziari in Polonia al quale ha partecipato il segretario al Tesoro americano Tim Geithner, che non vi è concordanza di vedute economiche sulle due sponde dell'Atlantico. L'America ha scelto misure di stimolo a breve - con interventi sia di politica fiscale che monetaria – rimandando l'austerità per ridurre il disavanzo pubblico al medio lungo termine. Come ha sottolineato la Banca Centrale americana, «l'importante è crescere». L'Europa e la Banca Centrale Europea non vedono invece con favore interventi di stimolo e le misure per ora sono soltanto restrittive. La crescita resta in secondo piano. La parola ora passa ai ministri finanziari che arriveranno fra due giorni a Washington per il G-7 e per le riunioni del Fondo Monetario Internazionale.

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