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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2011 alle ore 08:09.

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Ma quello che più spaventa è il fatto che l'Italia abbia superato tutti i livelli ritenuti invalicabili: questo, almeno pscicologicamente, è stato deleterio sui mercati. Il panico è arrivato ovunque. Le Borse sono scese in tutta Europa (Parigi -2,17%, Francoforte -2,21%, Londra -1,92%), trascinando con sè anche l'America: Wall Street alla fine ha chiuso in calo del 3,67%. Impatto altrettanto violento sull'euro, scivolato al livello minimo delle ultime quattro settimane a 1,3553 dollari. In mattinata il massimo era stato a 1,384. Domino perfetto.

I motivi del tracollo
Tutto questo è avvenuto per una molteplicità di motivi. Il primo è, ovviamente, legato alla situazione politica italiana. Le dimissioni annunciate da Berlusconi, tanto invocate nei giorni scorsi, hanno aperto un problema nuovo: l'incertezza totale. Il vuoto. Ieri sera sembrava prendere corpo l'ipotesi di un Governo guidato da Mario Monti (evento che per gli investitori sarebbe gradito e che ha causato la ripresa dei mercati sul finale della seduta), ma fino al pomeriggio l'ipotesi più probabile sembrava quella delle elezioni anticipate. Questa eventualità, per gli investitori, rappresenta il fumo negli occhi: andare alle urne significherebbe infatti restare due o tre mesi senza un Governo, senza neppure avere la certezza che alla fine le elezioni riescano ad esprimere una maggioranza sufficiente per governare. Il mercato non può che spaventarsi: la nave-Italia sembra far rotta verso un gigantesco iceberg, senza nessuno al timone.

Al vuoto politico italiano, poi, si somma un'aggravante: il vuoto politico in Europa. Il fondo salva-Stati europeo doveva essere potenziato venerdì scorso, al G20 di Cannes: ma non è stato fatto. Non è stato neppure trovato un Paese estero (né la Cina, né il Brasile) disposto a metterci dei soldi. Così oggi il fondo salva-Stati non ha disponibilità sufficienti per ipotizzare, seppur con una buona dose di fantasia, un salvataggio dell'Italia. Stesso discorso per il Fondo monetario internazionale: anche questo organismo doveva essere rafforzato al G20 di Cannes, ma non è stato fatto. Morale: ora che l'Italia si avvicina al gigantesco iceberg, senza un comandante al timone, si scopre che le scialuppe di salvataggio non ci sono.

Le pugnalate
In questo contesto, ieri, si si sono messe varie aggravanti. La prima è arrivata dalle Casse di compensazione Lch-Clearnet e Cc&G: entrambe hanno aumentato i margini che le banche devono depositare in garanzia quando operano sui BTp. Senza entrare nel tecnico, questo ha un significato preciso: per le banche, operare sui BTp diventa più costoso. Per le italiane, calcola Barclays, il costo aggiuntivo sarà tra i 4 e gli 8 miliardi di euro. Questo evento, nel caso di Grecia e Irlanda, segnò l'inizio del baratro: è per questo che su questa decisione si è acceso il faro di Consob e Banca d'Italia.

Un'altra aggravante, ieri, è arrivata dalla politica europea. Il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble in serata ha affermato che lo spread tra BTp e Bund non è preoccupante, «perché era sugli stessi livelli prima dell'introduzione dell'euro». Cosa significa, si chiedono gli investitori: che, secondo il ministro delle finanze tedesco, l'Italia uscirà dall'euro? In effetti ieri sera girava voce che in Germania si stia studiando un modo per permettere ad alcuni Paesi di lasciare l'euro senza abbandonare l'Unione europea. Insomma: a incertezza, si è sommata altra incertezza.
Italia tra baratro e salvezza

Ma l'Italia è veramente sull'orlo del precipizio? Se si guardano i fondamentali economici, la risposta sarebbe negativa. Il deficit previsto da Bankitalia per il 2012 è pari al 2,4% del Pil: disavanzo inferiore a quello spagnolo (-5,2%) e francese (-4,6%). Solo la Germania (-1,1%) ci batte. Se si esclude la spesa per interessi, l'Italia nel 2012 ‐ calcola Bankitalia ‐ sarà in avanzo: +2,6% del Pil. In questo caso, battiamo anche la virtuosa Germania (+0,8%). Il debito delle famiglie italiane è uno dei più bassi d'Europa: è pari al 45% del Pil, contro il 55% francese, il 61% tedesco, l'86% spagnolo. Anche le imprese hanno un indebitamento inferiore alle concorrenti di Francia e Spagna. Il problema, insomma, è solo uno: il gigantesco debito pubblico da 1.900 miliardi di euro.
Si potrebbe obiettare: l'Italia ha sempre avuto un debito pubblico elevato.

È vero. Ma oggi è cambiato qualcosa: il mercato non si fida. Questo significa che gli investitori chiederanno tassi d'interesse sempre più elevati per prestarci i soldi. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, il rischio è che un giorno non siano più disposti a comprare i nostri titoli di Stato: se questo accadesse, sarebbe impossibile rifinanziare il debito in scadenza. Già oggi ci sarà il primo test: un'asta di BoT. Ecco perché, senza credibilità, i fondamentali economici non contano più nulla. Ecco perché i mercati chiedono che il Governo, qualunque esso sia, agisca in fretta con qualcosa di forte: «Il decreto sviluppo contiene misure ormai inefficaci ‐ commentava ieri un investitore da Londra ‐. Il Governo italiano sta combattendo una battaglia vecchia: i mercati vogliono un segnale di rottura». Una patrimoniale. O qualcosa di analogo. Il tempo degli indugi è scaduto.

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