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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 13:02.

Il mercato dei titoli di Stato italiani ha reagito con freddo distacco e con un misto di scetticismo e perplessità allo pseudo-accordo raggiunto ieri a notte fonda da un folto gruppo di Stati europei (al momento i 17 dell'Eurozona più altri sei) sulle nuove regole dell'Unione fiscale, sull'anticipo possibilmente al primo luglio 2012 dell'avvio del fondo permanente ESM (European stability mechanism) e sulla dotazione extra di 200 miliardi all'Fmi per soccorrere gli Stati europei in difficoltà. Il rendimento dei BTp a due e dieci anni sul mercato secondario questa mattina è salito, riportandosi rispettivamente attorno al 6,20% e al 6,60%, e poi sono ridiscesi per gli acquisti Bce sul mercato secondario. I Bonos spagnoli hanno avuto una reazione analoga.
L'impostazione dell'accordo va nella direzione che il mercato si attendeva per prevedire sul lungo periodo una nuova crisi del debito sovrano europeo e per risolvere immediate crisi di liquidità. Ma non è convincente, nell'insieme.
Il rafforzamento degli impegni e dei controlli preventivi per domare il debito/Pil e il deficit/Pil, con meccanismi di interventi e sanzioni quasi automatici, non può che piacere al mercato dei BTp. Anche se il fallimento del Trattato di Maastricht non è un buon precedente per conquistare la fiducia immediata dei mercati sull'efficacia sanzionatoria e preventiva degli accordi fiscali europei. Tuttavia mancano i dettagli sui tempi di avvio delle nuove procedure sanzionatorie e sui meccanismi correttivi sul deficit/Pil che dovranno scattare automaticamente. In estrema analisi, resta da capire cosa accade effettivamente a uno stato che entra nella Excessive deficit procedure sforando il 3% di deficit/Pil oppure che non riesce a mantenere lo 0,5% di deficit strutturale annuale tollerato dalla nuova Unione fiscale. I piani per ridurre il debito/Pil, che è il problema numero uno, sono altrettanto vaghi al momento.
Sull'accelerazione dell'adozione di nuovi o vecchi meccanismi di stabilità, il capitolo dei fondi salva-Stati che ora include anche l'Imf, restano molti vuoti da colmare. Gli Stati europei si sono impegnati ieri notte a garantire il decollo "rapido" delle operazioni di leva sull'Efsf: cosa significa "rapidamente" in questo contesto è tutto da scoprirsi. Di certo, l'Efsf e l'Esm non opereranno congiuntamente: il riferimento a una potenza di fuoco Efsf/Esm da 500 miliardi fa comunque sollevare molti dubbi sull'effettiva capacità di intervento dei fondi: il mercato teme che bisognerà attendere il prossimo marzo per capire bene quale sarà l'entità massima degli interventi possibili.
Il comunicato del Consiglio europeo inoltre rimanda a un accordo entro 10 giorni per stabilire le modalità di potenziamento dell'Fmi da parte degli Stati europei: il riferimento a prestiti bilaterali farebbe intendere che le banche centrali potrebbero essere escluse da questa formula (il presidente Bce Mario Draghi aveva fatto intendere nella conferenza stampa a Francoforte di giovedì di avere dei dubbi sugli aspetti legali di un coinvolgimentno delle banche centrali dell'Eurosistema). I mercati iniziano già a domandarsi chi pagherà il conto dei 200 miliardi e come. E quali saranno i presupposti per consentire a uno Stato in crisi di liquidità di attingere a quel plafond. I tempi del versamento del capitale dell'Esm, di cui 80 miliardi paid-in, sono ipotetici: e il riferimento al 90% del capitale fa intendere che qualche stato forse intende tirarsi fuori.
Non da ultimo, pur escludendo la partecipazione automatica del settore privato nella ristrutturazione del debito pubblico degli Stati europei soccorsi da Esm e Fmi, il comunicato del Consiglio acclude un riferimento alle azioni di clausole collettive per i nuovi titoli di Stato (emessi dal primo luglio 2012?) e alle procedure Fmi per il trattamento dei creditori privati che difficilmente non avranno alcun ruolo in futuro.
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