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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2011 alle ore 14:04.

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(Corbis)(Corbis)

«Noi non vogliamo aderire all'euro, siamo contenti di esserne fuori. Noi vogliamo i nostri tassi di interesse, la nostra politica monetaria». Parole del premier britannico David Cameron, pronunciate dopo lo strappo tra Unione europea e Gran Bretagna sull'unione fiscale. La scelta di Londra è stata criticata da una parte della stampa britannica. Il timore è che quanto avvenuto al vertice europeo possa sfociare in un crescente isolamento con effetti negativi per l'economia. È presto per dire se questi timori sono fondati. Quello che si può fare tuttavia è cercare di capire invece quanto, in questa fase, abbia giovato alla Gran Bretagna un'altra scelta autonoma fatta nel passato da un altro premier britannico. Stiamo parlando di John Major che nel 1992 decise di non aderire alla moneta unica mantenendo la sterlina.

Il fatto di non fare parte dell'euro intanto ha tenuto Londra al riparo da costosi piani di salvataggio (Grecia, Irlanda e Portogallo) e dall'impennata dei rendimenti e degli spread. Anzi, proprio il fatto di essere fuori dalla moneta unica, ha favorito gli acquisti di titoli britannici e quindi il calo dei rendimenti. Il Gilt è diventato "bene rifugio" alla stregua del bund tedesco, che ora rischia addirittura di perdere la tripla A di Standard & Poor's.

Questa settimana i rendimenti sul decennale britannico hanno chiuso al 2,16%, poco distanti dal 2,03% del bund tedesco. Un anno fa, stando alla banca dati Capital Iq di Standard & Poor's, il decennale britannico rendeva il 3,64% mentre il corrispondente bund il 2,99% per uno spread di 65 punti base. Il differenziale nel corso dei mesi si è sempre più assottigliato. C'è stata addirittura una giornata in cui lo spread, che solitamente pende in favore dei tedeschi, si è invertito. Dopo giornate di tensione seguite a un'asta tedesca andata praticamente deserta, il 29 novembre, a chiusura di seduta, il tasso sul Gilt era al 2,24% mentre quello sul Bund al 2,27 per cento.

In un anno il tasso pagato sui titoli inglesi è sceso del 40,55% mentre quello sui titoli tedeschi è calato del 32,21 per cento. Parallelamente il rendimento del BTp a 10 anni è salito del 42,54 per cento mentre quello della disastrata Grecia è passato dal'11 al 38% con un balzo del 207,4 per cento. Il termine tecnico per definire questo fenomeno è «flight to quality». Letteralmente volo verso la qualità, gli asset più sicuri. È quello che è successo con la crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona: ci si disfa dei titoli a rischio (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia) e si compra titoli considerati più sicuri, garantiti dalla solida tripla A, come quelli di Germania e Gran Bretagna.

Ma il parallelo tra Londra e Berlino in termini di solidità dei conti pubblici e dell'economia non regge. La Gran Bretagna, che con la crisi del 2008 è stata costretta a pesanti salvataggi bancari e ha un deficit di bilancio consistente, pari al 9% del Pil (peggio di Italia, Spagna e Portogallo). L'economia poi non è proprio brillante. Gli ultimi dati parlano di una crescita modesta nel secondo trimestre dell'anno (+0,1%) e di un calo della produzione industriale dell'1,2 per cento.

Se nonostante questi dati, non certo esaltanti, il titolo di stato britannico continua ad essere acquistato lo si deve proprio a ciò per cui Cameron si dice contento: la politica monetaria autonoma. La BoE ha adottato una politica monetaria ultraespansiva tenendo i tassi al mimimo storico (0,5% contro l'1% della Bce). In più, sullo stile della Fed, ha varato consistenti piani di acquisti di titoli di stato. L'ultimo, da 275 miliardi di sterline, è stato confermato proprio al recente direttivo. In questo modo si è comportato da prestatore di ultima istanza. Ha fatto cioè capire al mercato che non ha problemi a stampare moneta e a garantire che il debito pubblico di sua Maestà sarà ripagato. Tutto l'opposto della Bce che invece non può stampare moneta, avendo come unico compito quello di tenere sotto controllo l'inflazione.

Anche in Borsa infine il bilancio tutto sommato è positivo. In un anno segnato da burrasche sui mercati, l'indice Ftse 100 di Londra ha perso solo il 4,88 per cento mentre il DAX 30 di Francoforte ha lasciato sul parterre ben 14,55 punti percentuali. Per non parlare del FTSE MIB di Piazza Affari che ha un bilancio negativo del 23,25 per cento.

Twitter@24finanza

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