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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 13:59.

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Lorenzo Bini SmaghiLorenzo Bini Smaghi

Mercoledì scorso, l’incontro di commiato con lo staff della Banca centrale europea insieme all’altro consigliere dimissionario (per tutt’altre ragioni), il tedesco Juergen Stark. Mercoledì prossimo, la sua ultima riunione del consiglio all’Eurotower. Lorenzo Bini Smaghi, 55 anni, fiorentino, ha rassegnato il 10 novembre le dimissioni da membro del comitato esecutivo della Bce, e da gennaio, per sei mesi, due settimane al mese, sarà all’università di Harvard. Negli ultimi sei anni e mezzo, di cui quattro di crisi acutissima, la sua è stata una delle voci più forti, accanto a quella del presidente Jean-Claude Trichet, per fare arrivare sulla scena europea e globale il verbo della Banca. Più che fare un bilancio del suo mandato, in questa intervista al Sole 24 Ore completa l’opera con alcuni messaggi molto franchi, ai Governi e ai mercati finanziari.

Su un solo punto, le circostanze della sua uscita dalla Bce, Bini Smaghi si appella alla discrezione del banchiere centrale. Ha lasciato con oltre un anno di anticipo sulla scadenza naturale. Assicurando che nel comitato, dopo la nomina di Mario Draghi alla presidenza, si evitasse un raddoppio italiano e l’esclusione della Francia. Le pressioni sono state fortissime. La sua vicenda si è intrecciata con le convulsioni politiche italiane, la successione in Banca d’Italia (l’incarico più ambito, dal quale è arrivato a un passo), l’impazienza francese. Appare chiaro che avrebbe voglia di togliersi qualche sassolino dalle scarpe, ma per ora tace.

Il banchiere centrale è molto più esplicito quando spiega l’importanza di concentrare il risanamento dei conti pubblici sui tagli alla spesa, di spostare il peso della tassazione dal lavoro alle rendite finanziarie e agli immobili, di accompagnare la manovra con riforme strutturali per rilanciare la crescita. Una valutazione che suona anche come un voto alla manovra italiana, che finora risponde a questi tre criteri solo per il secondo punto.

Ma Bini Smaghi sostiene anche che il livello dell’1%, recentemente raggiunto dal tasso di riferimento della Bce dopo due tagli consecutivi, non è un limite invalicabile, come sostenuto soprattutto in Germania, il che lascia aperta la porta a ulteriori riduzioni. E apre un altro spiraglio quando afferma che gli acquisti di titoli dei Paesi dell’eurozona in difficoltà da parte della Banca centrale non possono che essere dettati da ragioni di politica monetaria, ma che «senza stabilità finanziaria non c’è stabilità dei prezzi».

D. Lei lascia la Bce in un momento particolarmente difficile per l'economia dell'area euro. La Banca ha appena rivisto nettamente al ribasso le sue previsioni di crescita per il 2012 ed è probabile che a cavallo fra 2011 e 2012 si registri una recessione. La risposta decisa a livello europeo alla crisi del debito sovrano passa attraverso un forte aggiustamento fiscale in tutti i Paesi. Non c'è il rischio che abbia un impatto recessivo e alimenti una spirale negativa fra contrazione dell'economia e necessità di ulteriori manovre di bilancio?

R. Il rischio c'è. Ma senza la correzione di bilancio si sarebbe rischiato di perdere definitivamente la fiducia dei risparmiatori e in quel caso l'effetto recessivo sarebbe stato ancor più forte. Ci sono tre modi per contrastare l'effetto recessivo. Il primo è concentrare lo sforzo sul lato della spesa, piuttosto che sulle entrate. In termini di spesa pubblica ed entrate fiscali, l’Italia, per esempio, è fra i Paesi con la percentuale più alta del pil. Il secondo è rimodulare le entrate alleviando il peso sui fattori di crescita, come il lavoro, e facendo leva sulle rendite non produttive. Giusto quindi ridurre l’Irap e tassare di più immobili e rendite finanziarie. Il terzo è accompagnare la manovra con riforme strutturali per favorire la crescita. Infine, la lotta all’evasione: non si può contabilizzarne i risultati ex ante, ma va incentivata, coinvolgendo la popolazione, annunciando che le maggiori entrate verranno utilizzate per ridurre altre imposte.

D. Nei piani di diversi Paesi, Italia compresa, l'aspetto di aggiustamento dei conti appare nettamente prevalente su riforme strutturali dirette al rilancio della crescita. Ma la mancanza di crescita, quanto l'indisciplina fiscale, è un fattore decisivo della crisi del debito sovrano

R. La crescita è fondamentale perché senza di essa mantenere l'equilibrio di bilancio è molto più penoso. Ad esempio, la sostenibilità della spesa pensionistica per il prossimo ventennio dipende in modo cruciale dalle ipotesi di crescita del prodotto e dell'occupazione. Se queste ipotesi non si verificano, il sistema non è più in equilibrio e bisogna apportare nuove correzioni. Pertanto, se non si vogliono fare le riforme necessarie per crescere di più, non ci si può poi lamentare delle conseguenze che ne derivano in termini di maggior rigore fiscale. Il costo della mancata crescita in fin dei conti ricade sui contribuenti.

D. La Bce ha indicato che l'inflazione scenderà di nuovo sotto il 2% nel corso del 2012 e negli ultimi due mesi ha tagliati i tassi d'interesse, di fatto annullando i rialzi che erano stati decisi nei mesi precedenti. Ritiene che le decisioni di allora, di "normalizzare" la politica monetaria, siano state troppo affrettate?

R. Non si può rifare la storia. Le decisioni vengono prese ogni volta in base alle informazioni di cui si dispone in ogni momento. Se avessimo mantenuto il tasso immutato, invece di portarlo all’1,5%, magari si sarebbero sviluppati altri squilibri, e oggi avremmo meno margini di manovra.

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