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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 15:10.
Speculatori "allo scoperto"
E poi ci sono i mercati. Nell'ultimo discorso nel direttivo Bce, il governatore Mario Draghi ha detto che «i mercati chiedono le riforme». Ma se lo spread della Spagna ieri è balzato a livelli record - nello stesso giorno in cui il governo ha tagliato 10 miliardi a sanità e istruzione - vuol dire che c'è qualcosa che non quadra. Perché nei mercati c'è un po' di tutto, compresa la speculazione, comprese le vendite allo scoperto (che puntano sul ribasso di un titolo) degli hedge fund sui titoli sovrani. Tra i mercati c'è anche quello (non regolamentato) dei cds (credit default swap). Una sorta di polizze assicurative che coprono dal rischio fallimento di un titolo sottostante. Ebbene, ieri i cds sulla Spagna si sono nuovamente impennati. E ciò non stupisce, anche perché questa forma di contratti è oggi molto utilizzata da investitori che puntano al ribasso sui titoli di Stato. A quanto pare, basta davvero qualche incertezza perché gli speculatori tornino all'attacco: «La pennichella della cosiddetta speculazione è durata molto poco - spiega Angelo Drusiani, responsabile investimenti di Albertini Syz -.È stato sufficiente che il governo spagnolo non rispettasse il rapporto deficit /Pil o che in Italia la riforma del lavoro non piacesse alle parti sociali, perché, rapidamente, il differenziale di rendimento tra i titoli emessi dai Paesi meno virtuosi d'area euro e gli analoghi tedeschi riprendesse a salire».
Attacchi della stampa anglosassone
C'è poi chi punta il dito contro la stampa anglosassone. Secondo un'analisi di Websim, tra le concause del recente innalzamento degli spread c'è anche «l'attacco della stampa anglosassone ai Paesi periferici della zona euro, che ormai non sorprende più nessuno per quanto è sempre compatta e ben orchestrata, anche perché utile a distogliere l'attenzione da una realtà che in quanto a conti pubblici sta molto peggio di noi».
Le instabilità dell'Unione europea
«Soprattutto, però, è lecito chiedersi se davvero siano i debiti pubblici sotto la lente d'ingrandimento o, come già s'era ipotizzato nello scorso autunno, l'impianto complessivo della moneta unica europea - continua Drusiani -. Meraviglia che, ancora oggi, la Banca centrale europea non possa stampare moneta allo scopo di "difendere" la finanza locale, esattamente come accade nei due grandi Paesi anglosassoni Usa e Regno Unito o in Giappone. Dovrebbe essere quasi automatico che, se un'area fosse davvero coesa, l'aiuto ai Paesi in difficoltà non dovrebbe essere sollecitato dai mercati, ma dalle stesse autorità politiche e finanziarie».
C'è una luce?
«L'obiettivo di breve termine di chi non ha fiducia nell'area monetaria europea è palese: guadagnare sulla caduta dei prezzi.» Lo è meno, se lo sguardo si porta più avanti: è ancora l'euro ad essere considerato un esperimento ancora non riuscito o sono davvero i debiti dei Paesi meno virtuosi a dovere tirare le somme e a costringere i governi a proporre manovre ancora più restrittive? «In quest'ottica - continua Drusiani - è assai complesso trovare una risposta univoca, mentre, nell'immediato, a fronte dell'eccesso di negatività che ha caratterizzato la seduta del 10 aprile scorso, è evidente che un aiuto da parte della Bce e una strategia di ricopertura da parte di chi ha già messo a segno interessanti profitti consenta ai mercati di respirare. La malattia, però, è abbastanza grave e non la si cura in poco tempo: aspettiamoci altre sedute molto difficili, altri momenti negativi. L'uscita dalla crisi finanziaria, nata a febbraio 2007, non è ancora all'orizzonte: servirà una strategia di carattere mondiale a "sistemarla". Forse, all'indomani delle elezioni presidenziali negli Usa un maggiore decisionismo mondiale potrebbe finalmente caratterizzare le scelte dei mercati finanziari: investitori, banche d'affari e, senza potere alcuno, i risparmiatori tradizionali».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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