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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2012 alle ore 15:04.
L'usato sicuro o la scommessa più rischiosa? La cara "vecchia" Google o la novità di Facebook? In piena euforia da social network la risposta sembra scontata: tutti con Mr Zuckerberg! Soprattutto nel breve periodo. A ben vedere, però, anche l'hi-tech più tradizionale non è da buttare. Anzi. Allungando lo sguardo fino al momento del collocamento si scopre che diversi big hanno dato soddisfazione all'investitore. Così, per esempio, chi avesse investito 85 dollari all'inizio dell'avventura in Borsa della grande «G» (19 agosto 2004), ora ne avrebbe in tasca circa 523. Senza fare alcunchè. Un consuntivo positivo che, peraltro, contraddistingue molte delle maggiori capitalizzazioni del Nasdaq. Qualche esempio? È presto detto. Il signor Smith, per ogni dollaro che avesse "puntato" sul debutto nel 1986 di Microsoft, adesso (al 3/5/2012) potrebbe vantare un tesoretto di 435,7 biglietti verdi. Dare fiducia ad Apple, invece, avrebbe significato guadagnarne 211,57. Con Oracle sarebbero oltre 634; mentre il ritorno su Intel sarebbe di 1.475,3 dollari. Insomma, chi ha scommesso nel lungo periodo sull'hi-tech vince. Certo, ad eccezione di Google, le società considerate hanno vissuto lo scoppio della bolla dotcom. Inoltre, tutte sono salite sull'ottovolante di Borsa della crisi post-subprime. Come dire, cioè, che variando l'arco temporale considerato il consuntivo cambia, e di molto. E, tuttavia, il risultato dall'Ipo resta quello: positivo. Una situazione che sarà replicata con il collocamento di Facebook? Gli esperti, in coro, rispondono: il debutto dovrebbe essere un successo; l'«eccitazione» per il mondo digitale made in Silicon Valley è alta.
Il ballo del social network
L'Ipo, a ben vedere, non è una mosca bianca. Arriva dopo un "filotto" di novelle web company sbarcate nel 2011 a Time Square. Un ballo di debuttanti che spesso, dopo qualche giorno di felice valzer, si è trasformato in rock acrobatico. Con diverse scivolate sul parterre. Così, ad esempio, è accaduto a Groupon. Il sito di promozioni online nella prima seduta (4/9/2011), anche grazie allo scarso flottante (il 4,7% del capitale), ha chiuso in rialzo del 30,5%. La musica, però, poi è cambiata: il titolo adesso cede il 48,45% dal prezzo d'Ipo. Un caso isolato? Tutt'altro. La regina dei giochi in rete Zynga è in ribasso di oltre 13%. L'unica azienda che, invece, vanta un andamento positivo è, non a sorpresa, il social network professionale Linkedin.
Bolla o non bolla?
Al di là dei singoli dati, appare chiaro che al ballo delle debuttanti diverse web matricole non sono riuscite a tenere il ritmo. Almeno sul lungo periodo. Perchè? Secondo gli esperti non esiste un'unica giustificazione: contano le singole storie aziendali. «L'indizio, da un lato – spiega Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroeder Italia –, della maturità dei business plan che non sono più semplici start up in caccia di denari». «E dall'altro – fa da eco Aldo Martinale, responsabile ufficio studi di Banca Intermobiliare –, dell'inesistenza della bolla. Questa, infatti, si concretizza quando tutti i titoli salgono, e poi scendono, indistintamente.Il che, adesso, non è». Peraltro, gli stessi multipli del Nasdaq 100 sembrano confermare la tesi: attualmente il rapporto prezzo/utili dell'indice è a quota 14, contro una media storica di 34,8. Certo, quest'ultima è conseguenza, anche, dei P/e "lunari" raggiunti nel 2000 (85,3) e 2001 (74,1). Tuttavia, nell'anno del crack Lehman (2008) il P/e si era assestato a quota 16,3. Tutto rose e fiori, quindi?
Non proprio. In primis, ci sono diversi titoli a rischio di sopravvalutazione. Amazon, per esempio, secondo Facset ha un P/e 2011 di 126,4 contro la sua media di 75,2. E poi le variabili esogene, come lo stress da debito pubblico di Eurolandia, colpiscono anche il mondo hi-tech. Quindi, l'indicazione è sempre: maneggiare con cura.
La sfida a Google
In un simile contesto lo sbarco di Facebook, a detta degli esperti, non dovrebbe comunque avere problemi. Sul fronte della liquidità, per esempio, il mega-collocamento da oltre 18 miliardi non avrà grandi ostacoli. Il rendimento dei titoli di Stato Usa è bassissimo (l'1,88% per il decennale). Gli investitori, in caccia di maggiore remunerazione, certamente copriranno le richieste. «Inoltre – sottolinea Stefano Benzi, gestore Usa per Banca Akros –, la nuova società assumerà un peso importante nel Nasdaq. Entrerà nei portafogli dei fondi a benchmark e questo aiuterà il titolo». L'unanimità di consensi, però, perde "forza" sul lungo periodo. «L'appeal di Facebookm – afferma Carlo Alberto Carnevale Maffei, docente di Strategia e Imprenditorialità alla Bocconi – è quello di essere un "sistema operativo" dell'informazione». Una comunità, ad oggi, di circa 900 milioni di utenti che, da un lato, offre un flusso di notizie su di sè utilissimo «per creare pubblicità personalizzata»; e dall'altro, rappresenta «la platea per gli stessi spot». Così, non è un caso che circa l'88% dei ricavi del 2011 sia arrivato proprio dall'advertising. Certo, «elemento essenziale per Facebook è il suo essere monopolio naturale nel social network. Una caratteristica che, però, non sembra facile contrastare». «A ben vedere – ribatte Benzi – va ricordato il rischio regolamentare: cioè, possono sussistere interventi normativi che limitano l'uso delle informazioni fornite al social network dagli utenti». E, poi, l'azienda punta su tassi di crescita elevati. Google, attualmente, ha una market cap di 5,3 volte i ricavi da pubblicità; per il gruppo di Zuckerberg, invece, il rapporto vale 27,5. «Un multiplo alto che, proprio a fronte del rallentamento di fatturato nel primo trimestre 2012, crea qualche dubbio». Certo, Facebook ha chiuso il 2011 con un miliardo di utile. E, tuttavia, la scommessa è far "correre" i ricavi da pubblicità, sfidando in campo aperto piattaforme quali quella di Google. L'avventura di Borsa del social nework più famoso al mondo, insomma, è tutta da scrivere.
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