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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2012 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 13 maggio 2012 alle ore 20:06.

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Jamie Dimon (Reuters)Jamie Dimon (Reuters)

Jamie Dimon, il superbanchiere di Wall Street passato quasi indenne dalla crisi dei "subprime" e considerato uno dei più spavaldi protagonisti della finanza a stelle e strisce, chiede scusa e promette di andare fino in fondo nello scandalo che ha investito la sua Jp Morgan. Una promessa che fa temere un taglio dei bonus del 50% da parte dei soci e che si traduce nella caduta delle prime teste: tre manager - riporta il Wall Street Journal - lasceranno già nei prossimi giorni, entro la settimana. Ad andare via, anche se la tempistica non è ancora chiara sarà anche Bruno Michel Iklis, la "Balena di Londra", il trader con una posizione così grande da influenzare il mercato dei credit default swap.

Secondo il Wall Street Journal, a lasciare in settimana saranno Ina Drew, che dal 2005 è responsabile del risk management della divsione che ha registrato i 2 miliardi di dollari di perdite; Achilles Macris, colui che guidava il desk che ha effettuato le scommesse andate male; e Javier Martin Artajo, uno dei manager dello staff di Macris. Il maxi-buco da due miliardi di dollari registrato dalla banca sul trading in conto proprio fu un «terribile, oltraggioso errore» per il quale «quasi non ci sono scuse» e «la banca dovrà pagarne il prezzo», dice Dimon ai microfoni della Nbc. Parole mai sentite prima da uno dei più celebrati banchieri americani, capace di portare Jp Morgan a scalare una montagna di utili, e di bonus per i suoi banchieri, anche nei momenti più difficili degli ultimi cinque anni, ma incapace di rendersi conto di quello che stava esplodendo quando, nelle scorse settimane, le operazioni della "Balena di Londra" stavano per causare una maxi-perdita che potrebbe salire a tre miliardi, e secondo qualcuno sollevare il velo su operazioni spericolate che sono pratica frequente nei grattacieli di New York, Londra e altre capitali finanziarie.

Mi ero «completamente sbagliato», ha detto Dimon, intervistato nella trasmissione 'Meet the Press' riferendosi a quanto aveva affermato ad aprile, quando aveva bollato il clamore creato dal buco una «tempesta in un bicchier d'acqua». Allora - ha spiegato il banchiere - non conosceva le dimensioni del problema. Lo hanno costretto a fare ammenda gli azionisti, cui ha causato uno scivolone del 10% del valore delle azioni. La stampa finanziaria ha iniziato a scavare, e si è scoperto che il trader francese Bruno Iksil, protagonista delle operazioni, era autorizzato dall'alto: stava facendo trading sui derivati del credito per coprire i rischi dovuti all'esposizione della banca verso i mercati europei. È stato fin troppo facile, per Dimon, spiegare che la banca stava facendo trading non per fare utili, ma per ripararsi dai rischi finanziari.

Non tutti sono d'accordo con lui a Washington: Carl Levin, un agguerrito senatore democratico, è convinto che «non si trattava di attività per ridurre i rischi. Al contrario, li hanno aumentati». Levin è convinto che le banche perderanno il braccio di ferro con il presidente Obama che sta cercando di imporre la "Volcker Rule", un giro di vite proprio sul trading. La lobby finanziaria ha intenzione di utilizzare una serie di cavilli - Levin ne è convinto - per esentare dalla stretta normativa operazioni come quelle fatte dalla "Balena" londinese. Ma paradossalmente proprio l'errore di Jp Morgan rischia di spianare la strada alla stretta voluta da Obama.

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