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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2012 alle ore 16:40.

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Col senno del poi (di una settimana) l'Ipo di Facebook al Nasdaq rischia di entrare nel guinness della finanza fra le quotazioni più pazze della storia di Wall Street. Proviamo a riepilogare quello chè successo da venerdì 18 maggio, quando il titolo del social network è approdato alle ore 17 italiane in contrattazione, presentandosi agli investitori con un prezzo in pre-apertura di 38 dollari (pari a 104 miliardi di capitalizzazione).

Il listino Nasdaq ha avuto problemi nel comunicare il prezzo del titolo causando un ritardo del debutto in Borsa di quasi un'ora. Per questo motivo adesso Facebook vorrebbe passare all'altro grande listino di Wall Street, il New York Stock Exchange. Per questo stallo informatico il Nasdaq rischia di pagare danni a investitori che hanno fatto causa al listino hi-tech degli Stati Uniti. Prima buccia di banana.

La seconda coinvolge Morgan Stanley, il principale istituto che ha curato il collocamento. È adesso finito nel mirino degli investitori perché un analista ha comunicato prospettive al ribasso degli utili poco prima della quotazione. Nello stesso momento in cui la divisione della banca che si occupava del collocamento alzava la forchetta del prezzo fino a 38 dollari. Le autorità stanno indagando se la comunicazione dell'analista sia stata effettuata in pubblico o solo a un gruppo riservato di investitori.

Oggi intanto Morgan Stanley ha detto che è pronta a rimborsare gli azionisti che hanno acquistato titoli Facebook a un prezzo superiore ai 43 dollari. Ma intanto alcuni studi legali, in rappresentanza di piccoli azionisti, hanno avviato una class action contro Facebook con l'accusa di aver nascosto informazioni rilevanti prima della quotazione. Seconda buccia di banana.

Non finisce qui. Secondo il Wall Street Journal analizzando l'andamento delle vendite allo scoperto sui titoli Facebook nella sua prima settimana finanziaria emergerebbero confitti di interesse tre le banche che hanno partecipato all'operazione di collocamento.

Mentre Morgan Stanley spingeva su la forchetta del prezzo, Goldman Sachs e Jp Morgan (le altre due banche che hanno aiutato Morgan Stanley nel collocamento) avrebbero prestato azioni a fondi hedge, operazione necessaria per consentire le vendite allo scoperto (short selling) sul titolo.

Ricordiamo che con il termine short selling (vendita allo scoperto) si intende la vendita di attività finanziarie delle quali non si detiene la proprietà, con la speranza di ricomprarle in seguito, al momento di consegnarle al compratore, a un prezzo inferiore conseguendo così un profitto. Per vendere un titolo allo scoperto è necessario che qualcuno che lo ha già in possesso lo presti allo short seller.

C'è il sospetto che per Facebook alcune grandi banche abbiano ceduto alle pressioni dei fondi hedge per prestare titoli da vendere allo scoperto. Le stesse da un lato avrebbero partecipato al collocamento puntando quindi anche a sostenere la quotazione, ma dall'altro lato ne avrebbero favorito un ribasso "andando a braccetto" con i fondi hedge. Sarebbe la terza buccia di banana per le azioni Facebook in appena una settimana di vita (finanziaria).

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